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di Maria Patrizia Salatiello, socia CISS, neuropsichiatra infantile e psicoanalista, in viaggio a Kinshasa

Kinshasa 17 aprile 2011

L’aereo della Ethiopian Airlines atterra con dolcezza sulla pista dell’aeroporto di Kinshasa. Siamo infine arrivati, dopo un viaggio difficile, pieno di voli in ritardo, coincidenze perse. Abbiamo atteso a lungo questo momento, sono passati più di due anni da quando abbiamo iniziare a studiare lo strano, inquietante fenomeno dei bambini accusati di stregoneria. Perturbante e nuovo, infatti soltanto a partire dalla metà degli anni novanta fra le decine di migliaia di bambini di strada che affollano le vie della capitale della Repubblica Democratica del Congo, come di tutte le grandi megalopoli di tutti i continenti, hanno cominciato ad esserci bambini accusati d’essere la causa di ogni disgrazia che capita nelle famiglie. Mesi e mesi di ricerca bibliografica, di discussioni, di ipotesi ed infine potremo toccare con mano questa realtà.

Usciamo dall’accogliente frescura dell’aria condizionata e inattesa ci sferza la calura dell’Africa Equatoriale. Sono abituata al caldo della mia Sicilia, quando soffia il vento di scirocco la temperatura raggiunge i quaranta gradi e più. Ma qui è diverso, siamo ancora nella stagione delle piogge e l’umidità raggiunge livelli altissimi. Sbarchiamo e ci avviamo verso l’aerostazione, sa di baracca sporca, fatiscente, aspettiamo un tempo infinito i bagagli, i controlli di polizia e sentiamo sempre più caldo. Usciamo nel cielo abbacinante e troviamo ad accoglierci Francesco, il cooperante del CISS, l’organizzazione non governativa che ci ha permesso questa ricerca, ed Eugene, l’autista congolese. Ci soffermiamo a fumare una sigaretta ed un poliziotto della polizia militare comincia ad andare giù di matto, con una corda tutta annodata comincia a sferrare colpi alla cieca. Eugene urla: “A’ la voiture, à la voiture”. Ci allontaniamo in fretta e con il fuoristrada ci avviamo verso la città.

Una strada infinita, asfaltata in modo approssimativo, piena di buche enormi, la polvere che si solleva, centinaia di macchine sfasciate, di pulmini gialli e blu pieni sino all’inverosimile di passeggeri, ai lati baracche fatiscenti, una moltitudine di gente che cammina non si sa bene verso dove, bancarelle delle merci più impensabili, pochi pacchetti di fazzoletti di carta, frutta, soprattutto banane troppe mature, farina di mais e di manioca. Leggi il seguito di questo post »

di Epifania Lo Presti – 7 maggio 2011

Oggi voglio raccontarvi una storia, quella di Exaucee: non è proprio una favoletta, ma voglio parlarvene ugualmente.

Exaucee è un bambino di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Non l’ho conosciuto personalmente, la sua storia mi è stata raccontata ma voglio provare ad immaginarlo. Piccolo, potrebbe avere al massimo dieci anni, gira spaesato per le strade di questa megalopoli. Un grazioso neretto, naso a patata, occhi grandi e messi in risalto dal contrasto con il colore della pelle, come se ne potrebbero vedere tanti in giro per quella città o come se ne vedono tanti, anzi troppi … Espressione sperduta, preoccupata: strano, i bambini sono lo specchio della serenità e della spensieratezza.

Continuo ad immaginare di seguirlo, si sposta a piccoli passi un po’ trascinandosi, sembra stanco. Incontra un altro gruppo di bambini, un po’ più disinvolti di lui, ma con un non so che in comune … Sarà lo stesso sguardo? Si aggrega al gruppo, ha fame, racconta di aver dormito tutta la notte fuori e di essere stato alcuni giorni a vagare senza meta. Uno dei bambini del gruppo gli indica un posto dove trovare qualcosa da mangiare e dove riposarsi, ce ne sono parecchi posti del genere, piccoli centri che accolgono e sostengono bambini come Exaucee. Leggi il seguito di questo post »

di Piero Alfano, Palma Audino, Gloria Cipolla, Salvo Ciulla, Nino Rocca, Maria Patrizia Salatiello

Negli ultimi quindici anni si assiste a Kinshasa, in Congo, ad un drammatico fenomeno definito come “i bambini stregone”, fenomeno che si sta espandendo a macchia d’olio in altri paesi d’Africa. Stiamo parlando di bambini accusati di essere degli stregoni malvagi e di essere di conseguenza la causa di ogni male che accade in seno alla famiglia, casi di follia, cancri, attacchi cardiaci dei loro parenti o dei loro genitori, la perdita del lavoro, la morte di uno o più membri della famiglia, le infezioni di AIDS, vissuta come una malattia misteriosa di cui non si comprende la genesi.

Spesso tutti questi sospetti e queste accusano portano a violenti conflitti in seno alla famiglia del bambino sospettato, che viene picchiato severamente e in casi estremi ucciso dai membri della famiglia o dai vicini.

Sebbene tali forme di estrema violenza non siano la regola, molti di questi bambini sono comunque disconosciuti e ripudiati. Rimossi, privati di tutto, ma temuti dai più, i presunti bambini stregone (chiamati sheta, tsor o tshor dal francese sorcier, stregone) finiscono nella strada. Il loro numero sarebbe fra 30.000 e 50.000 a Kinshasa. Il CISS (Cooperazione Internazionale Sud Sud) è già da tempo impegnato in un progetto di recupero dei bambini di strada e s’è trovato di fronte anche questi piccoli.

Per una migliore prassi operativa, partendo dal presupposto che il recupero dell’infanzia richieda innanzitutto una piena comprensione dei fenomeni che sottendono le situazioni, il CISS ha costituito, ormai quasi due anni fa, un gruppo di ricerca che studi a fondo il fenomeno dei bambini stregone.

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per le strade di Kinshasa

per le strade di Kinshasa

di Nino Rocca

Parte prima
Premessa al problema dei bambini di strada accusati di stregoneria

Sono state organizzate diverse missioni a Kinshasa per il progetto dei bambini di strada accusati di stregoneria. Le difficoltà per la realizzazione e per il proseguo del progetto non sono mancate.
Innanzitutto per la complessità e la problematicità, sia:

1) della città, la terza in ordine di grandezza dell’Africa,
2) per il tema, unico nel suo genere, la stregoneria di cui sono accusati i bambini e le bambine di strada.

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bambini a Kinshasa

 

Prime impressioni sulla città di Kinshasa

Kinshasa capitale della Repubblica democratica del Congo, città di 8 milioni di abitanti (secondo le ultime e indicative stime). Da una parte il lunghissimo e potente fiume Congo segna il suo confine naturale dividendola dalla sorella gemella (così è chiamata Brazzaville).

Dall’altra Kin continua ad estendersi sempre di più seguendo quell’inurbamento tipico delle grandi bidonville del sud del mondo. L’impatto con la città è assolutamente drammatico se ci si aspetta di trovare qualcosa che ricordi un minimo di sviluppo occidentale, che rispecchi la concezione di grande capitale di uno stato esteso quasi 5 volte la Spagna.

Appena arrivati ci si scontra con la prima e più falsa imitazione di un qualcosa che ricordi lo sviluppo, la normalità: l’aeroporto di N’djili. Dove si atterra e si scende direttamente sulla pista tra gli aerei giocattolo (tutti chiaramente sulla famosa lista nera), dove tutti i controlli sono rigorosamente “manuali”, dove è normale “pagare un pedaggio” per poter superare la dogana pur avendo tutta la documentazione regolare (visto,certificato di vaccinazione per la febbre gialla).

E nel momento in cui il tuo piede tocca finalmente il suolo congolese proprio fuori dall’aeroporto diventi come miele per le api: ti ritrovi assediato da decine di bambini che ti chiedono 50 franchi, che cercano di venderti piccole cose o di lustrarti le scarpe, da uomini che insistono perché tu prenda il loro taxi, da occhi che ti osservano fissi.

Qui non è difficile per un’europea attirare l’attenzione. “Mundele, mundele..”ti chiamano loro. E’ stata la prima parola di lingala che ho sentito e che mi ha accompagnata per tutta la durata della mia esperienza a Kinshasa.

E’ stato il primo viaggio in auto attraverso la città che mi ha dato modo di farmi un’idea generale .

Kinshasa è come una grande periferia che si estende per 50 km. Il centro si differenzia a malapena dal resto della città. Le strade sono piene di buche e completamente dissestate. A partire da settembre fino a maggio ovvero con la stagione delle piogge, le strade si trasformano in fiumi di fango. Non ci sono marciapiedi e si cammina su dei “trottoirs” fatti di sabbia sporca che ti affatica le gambe. Solo qualche semaforo. Nessun codice stradale rispettato. Fognature a cielo aperto. Rifiuti dappertutto poiché (naturalmente) non esistono metodi di raccolta, smaltimento e riciclaggio, per cui ognuno brucia qualsiasi cosa.

I fumi nerissimi che si alzano in vari punti della città e a qualsiasi ora del giorno e delle notte non sono incendi (come all’inizio pensavo) bensì fuochi per eliminare i rifiuti che non servono alla sopravvivenza. Per questo motivo l’aria di Kin è pesante e sporca. I rifiuti bruciati si aggiungono all’inquinamento dei mezzi di trasporto rendendo l’aria irrespirabile e nera.

Ma continuiamo questo percorso attraverso la città..

I 24 comuni in cui è suddivisa Kinshasa (25 come dicono i kinois se si conta la popolazione installatasi all’interno del cimitero) si somigliano tanto.

Matete, Kalamu, Kasa-vubu, Limete, Bandal,..:ovunque strade sterrate, mercati poverissimi, baracche e baracchelle.

Le abitazioni più povere sono fatte di rifiuti e terra (argilla), la maggior parte invece è in cemento,(che si sta diffondendo con rapidità incredibile), i tetti quasi sempre di lamiera.

In certi punti di ogni comune si incontrano delle vere e proprie fosse abitate, come degli spiazzali un po’ al di sotto del livello della strada, sporchi e claustrofobici.

In città i servizi come l’acqua o la luce sono generalmente diffusi ma anche quando sono presenti, in molti quartieri lo sono a momenti alterni della giornata.

I negozi sono pochissimi e soltanto in centro.

Il boulevard principale (Bd du 30 juin, data dell’indipendenza del paese) ha a malapena un paio di supermercati occidentalizzati e qualche ristorante libanese.

Ai lati ci sono tutti gli uffici e le rappresentanze delle organizzazioni internazionali più qualche banca. Non esistono mezzi di trasporto pubblici.

I privati che possono permetterselo comprano una macchina o una camionetta sgangherata (secondo o terzo scarto dei paesi europei) e la utilizzano come mezzo di trasporto in comune sfruttando al limite lo spazio disponibile e stipando i passeggeri su delle panche di legno, attaccati fuori dai finestrini, con le gambe a penzoloni, sul tettuccio.

Ogni camionetta ha uno o due “chargeurs”: ragazzini che attaccati allo sportello del veicolo urlano verso i passanti la direzione del mezzo. Merci e persone viaggiano insieme indistintamente in città come tra i villaggi. Pochissimi sono gli indirizzi.”Where the streets have no name” dice la canzone.

La città è completamente sotto assedio: militari e poliziotti sono ad ogni angolo della strada.

Inoltre tra i carri armati dei caschi blu e le 3 missioni dell’UE in Congo sembra davvero di vivere in un paese in guerra. Poliziotti, militari, impiegati della Division Urbaine si trovano ad ogni angolo della strada. Sono loro i cosiddetti “derangeurs”: fermano gli automobilisti chiedendo denaro a volte con una scusa poco plausibile. Altre volte senza tanti giri di parole.

Le auto con a bordo dei “mundele” sono il bersaglio numero uno. L’equazione bianco = soldi è unanimemente accettata.

Un impiegato statale riceve circa 20 dollari al mese come stipendio. Quando lo riceve.

Kinshasa non ha soltanto aspetti negativi anche se naturalmente questi sono i primi a saltare agli occhi.

La sua popolazione è gentile e accogliente. I sorrisi e gli entusiasmi dei bambini per strada sono incredibili. Quel misto di ostilità e curiosità dei locali nei confronti degli occidentali si trasforma immediatamente in un atteggiamento aperto e disponibile nel momento in cui capiscono di avere dinnanzi qualcuno che non possiede quel modo di approcciarsi intriso di superiorità tipica dei nuovi “colonizzatori” con cui i congolesi hanno contatti.

Uno degli elementi più eclatanti è sicuramente la netta volontà delle comunità straniere di non mischiarsi con i locali.

Le comunità presenti e numericamente più importanti sono quelle francesi e belghe, portoghesi e italiane ma sopra tutte la numerosa comunità libanese che in RDC detiene la maggior parte del piccolo e grande commercio.

La problematica dei bambini di strada

 

Il fenomeno in preoccupante crescita che investe l’intero paese e si concentra maggiormente nella capitale è quello dell’infanzia di strada.

La sola Kinshasa conta una cifra indicativa che va dai 15.000 ai 20.000 bambini di strada. Questi ultimi vengono suddivisi in due grandi categorie: “les enfants dans la rue” e “les enfants de la rue”.

Al primo gruppo appartengono tutti i minori che conducono una vita semi autonoma: di giorno vivono in strada procurandosi il proprio sostentamento e spesso contribuendo a quello familiare mentre di notte rientrano in famiglia. Sono quindi soggetti che mantengono dei legami seppur deboli con il nucleo familiare d’appartenenza.

“Les enfants de la rue” invece sono bambini completamente autonomi che vivono 24 ore su 24 in strada. Bambini che nella quasi assoluta totalità dei casi sono stati forzatamente allontanati dal tetto familiare e abbandonati. Questi vengono chiamati nel gergo corrente “Sheguès” da Chè Guevara in quanto considerati dei ribelli, soggetti che vivono completamente al di fuori degli schemi e dei codici diffusi.

Sono loro l’anello debole della società, i capri espiatori, la causa ( secondo i congolesi) di tutti i mali di cui soffre il paese.

L’aberrazione qui a Kinshasa è cominciata tanto tempo fa. Un passato doloroso, fatto di guerra, dittature e colpi di stato, miseria.

Il problema dell’infanzia di strada nella città di Kin sorge intorno agli anni ’80 ma é negli anni ’90 e in seguito alla guerra civile (1997-2003) che la situazione precipita.

Le famiglie abbandonano la propria prole. Allontanano con differenti pretesti i propri figli, quegli stessi figli che qui nella cultura africana vengono considerati ricchezza umana ed economica.

Ma dobbiamo risalire alle cause per poter comprendere il fenomeno che ad oggi si presenta agli occhi delle autorità pubbliche e della società civile con dimensioni inaudite.

Possiamo parlare di cause politiche-socio-economiche che si intersecano tra di loro: la povertà e l’accusa di “sorcellerie” o stregoneria, la disgregazione del tessuto familiare (divorzi e decessi dei genitori), l’assenza di uno «stato», di una legalità e di un controllo sociale, maltrattamenti e influenza dei coetanei. A volte le cause sono concomitanti, ed è difficile stabilire la natura del problema alla base dell’espulsione del bambino da casa.

Ma possiamo con certezza riconoscere nei bassi indici di sviluppo umano ed economico del paese la base della problematica dell’infanzia di strada. La Repubblica democratica del Congo si presenta infatti al 152 esimo posto secondo il suo I.S.U. su un insieme di 174 paesi.

Anni di colonialismo (e badiamo bene.. il colonialismo oggi non è terminato ma ha soltanto cambiato volto) hanno privato la RDC dei mezzi per decollare. Lo sfruttamento delle risorse da parte del nord del mondo supportato dall’interessata collaborazione da parte dell’élite al potere ha trasformato uno dei paesi più ricchi (in risorse e materie prime) dell’Africa in uno dei più poveri e bisognosi di interventi di cooperazione allo sviluppo.

La povertà (quella vera e diffusa a livello di massa,quella che ti fa vivere ben al di sotto della soglia di un dollaro al giorno) é la matrice scatenante.

Le famiglie, non avendo i mezzi per la mera sopravvivenza, scelgono « la vittima sacrificale » per alleggerire il carico familiare. Una bocca in meno da sfamare.

E’ così che, intrecciandosi alle cause economiche (la povertà) e socio-antropologiche, l’accusa di stregoneria (o kindoki )prende sempre più campo nella società congolese. I bambini vengono additati come radice di tutti i mali familiari. Diventano la causa scatenante di qualsiasi tipo di sventura in famiglia: la disoccupazione dei genitori, la morte prematura di un figlio, l’insorgere di una malattia ………..

Un vero e proprio movimento fatto di “églises de reveil” (chiese del risveglio), profeti, riti esorcizzanti e preghiere ruota intorno ai bambini stregoni. Bambini che molto spesso rappresentano un punto debole. Basta un atteggiamento piu’ introverso o sensibile, un problema di salute,un handicap per essere additati « ndoki » dalla famiglia e dall’intera comunità. Comincia così per loro un calvario nel calvario.

La maggior parte dei bimbi di strada è passata per un percorso simile: i genitori (che assumono il profeta come guida assoluta sia spirituale che materiale nelle decisioni della loro vita ) consegnano il figlio nelle mani “dell’illuminato”. Quest’ultimo lo sottopone (generalmente per circa una o due settimane) ad una serie di violenze psicologiche e spesso anche fisiche per “esorcizzare il male” che si è impossessato del bambino.

I bambini specialmente se molto piccoli si auto-convincono della veridicità di queste affermazioni.

Non è difficile infatti trovare bambini e bambine sui 10, 11, 12 anni disposti a raccontarti della loro pratica della stregoneria: dai voli notturni sulla città a strani banchetti fino a “viaggi nell’altra dimensione”. La loro conoscenza della realtà si mescola alla fantasia più sfrenata in seguito a veri e propri “lavaggi di cervello”.

Molto spesso il «cammino verso la redenzione» non porta ai risultati sperati. La famiglia decide così (sostenuta da comunità e profeta) di abbandonare in strada il bambino con la speranza di ritrovare la serenità familiare.

Il nucleo familiare è sempre più instabile. I divorzi sono all’ordine del giorno. Le famiglie si costruiscono , si disintegrano e si ricostruiscono intrecciandosi in maniera diversa una,due,tre volte.

I bambini vengono «spediti» da padre a madre, da nonni a zii, da famiglie materne a paterne. Nessuno vuole una bocca in più da sfamare.

E’ all’interno di queste dinamiche che uno o più bambini vengono allontanati da casa. Molto spesso (nei casi di seconde nozze) sono i figli del coniuge più debole a farne le spese. In una logica di sopravvivenza si opera una vera e propria selezione all’interno della famiglia. 7, 8 o 9 bocche da sfamare diventano troppe. Ed è appunto il patrigno o la matrigna ad eliminare alcuni componenti del nuovo e affollato nucleo familiare.

Alla base dell’infanzia di strada troviamo anche il decesso dei genitori. I tassi di mortalità del paese non sono contemplati dalle nostre visioni prettamente «occidentali». La stragrande maggioranza dei bambini ha perso almeno un genitore. Qui dove si muore per una qualsiasi infezione, influenza, disturbo intestinale. Qui dove la salute é un bene per i pochi che possono permettersela.

E infine ritroviamo i maltrattamenti in famiglia o l’influenza dei coetanei (cause decisamente minori in termini di percentuale) che spingono i bambini ad allontanarsi volontariamente dal tetto familiare.

 

Una città dentro la città

Si innescano così nuove dinamiche sociali. Associazionismo tra i bambini. Contatti che possono portare alla “cooperazione” o alla “guerra”.

I bambini generalmente si costituiscono in gruppi di riferimento a seconda del sesso, dell’età, del comune di appartenenza, dell’attività scelta in strada, perché per sopravvivere, naturalmente, anche i bambini “se debrouillent”. Si arrangiano per trovare un’attività remunerativa durante il giorno, per trovare una forma di protezione fisica e materiale durante la notte.

Tendenzialmente i gruppi di bambini (più o meno numerosi) presentano una semplicissima e scarna struttura gerarchica. I più piccoli sono coordinati, guidati, gestiti da una o più figure: si tratta a loro volta di giovani di strada (i cosiddetti “jeunes adultes”).

Per quanto riguarda le loro attività in strada, i più piccoli, dai 6 agli 11-12 anni circa, si arrangiano aiutando “les mamans” del mercato, facendo piccoli lavoretti, raccogliendo qualsiasi cosa dalla strada per poi rivenderla. Dai 12 ai 15 anni circa i lavori possono anche diventare fisicamente più pesanti e impegnativi: i bimbi diventano «chargeurs» (sui mezzi di trasporto o all’aeroporto, davanti ai negozi, ai mercati, su e giù dai camion) o sorvegliano le auto dei parking, si improvvisano venditori ambulanti o lustra-scarpe.

Mendicare e rubare sono attività che appartengono alla quasi totalità dei bambini.

A partire dai 15/16 anni atteggiamenti e attività devianti aumentano notevolmente: l’utilizzo di droga e alcool, i comportamenti aggressivi e rissosi, il furto.

Per le bambine invece la scelta si riduce drasticamente. La maggior parte intraprende la via della prostituzione anche per arrotondare i piccoli ritorni che derivano dai lavoretti al mercato con “les mamans”, nei ristoranti improvvisati.

Le più piccole (minori di 13/14 anni) vivono sotto la «protezione»di un adulto che gestisce il giro di prostituzione, sfruttandole a livello economico e spesso anche sessuale in prima persona.

La notte..

 

Quello che più mi ha sconvolto e che sicuramente da l’idea più concreta della vita di strada è stato osservare in giro per Kin la realtà notturna.

Di notte Kinshasa si trasforma e diventa l’ombra di se stessa. Non ci sono illuminazioni per strada e al tramonto cala immediatamente la notte. Nonostante questo, un fiume di gente si muove con la stessa frenesia nell’oscurità. Chi rientra a casa con un mezzo di fortuna, chi compra sulle bancarelle. Le strade sembrano dei presepi. Ogni tavolino ha la sua candela. I mercati notturni prendono il posto dei mercati del giorno. “Les mamans” cercano di vendere anche fino alle 2 del mattino poiché molti riescono a racimolare solo a fine giornata qualcosa da mangiare.

E’ qui che si incontrano sciami di bambini di strada: intorno e dentro ai mercati, davanti a qualche negozio. Dormono per terra, ammassandosi l’uno sull’altro per proteggersi a vicenda oppure un po’ isolati, nei “coins de la rue” (a volte protetti fino ad un certo orario dalle “mamans” vicine dei mercati).

I gruppi diurni persistono generalmente anche la notte ma questo prescinde dalla grande mobilità dei bambini di strada tra i vari comuni, quartieri e siti della città. Si spostano attratti da opportunità differenti (per mangiare, lavorare,dormire). Il gruppo garantisce un minimo di protezione, una gerarchia interna, ma è anche caratterizzato da rivalità e sospetto.

Di notte i bambini, oltre a doversi difendere dai maltrattamenti più duri degli adulti (militari, “jeunes adultes de la rue”, violentatori) diventano potenziale oggetto di maltrattamenti da parte dei coetanei del gruppo. Nel momento in cui un “nuovo” arriva nel gruppo molto probabilmente sarà vittima di ritorsioni e aggressività. Nella visione dei bambini chiunque è un potenziale nemico, e secondo la legge del più forte, che vige sulle strade di Kin, se non sei duro e spietato non sopravvivi. Non si riconoscono legami forti in strada e ci si “serve” degli altri per il tempo necessario di cui si ha bisogno.

Gli adulti ( a partire dai 18-19 anni) sono i più aggressivi e difficili. Anche coloro che lavorano nel campo del recupero dell’infanzia di strada (in ambito statale o privato) si occupano raramente di loro date le maggiori difficoltà di gestione.

Il problema della droga e dell’alcool tra i bambini di strada è in aumento data la maggiore facilità con cui è possibile procurarseli pur essendo minorenni.

I bambini fumano soprattutto cannabis o comprano in farmacia sonniferi e valium per provocarsi stordimento. Il whisky adesso viene venduto per le strade anche in piccoli sacchetti monodose da 50 fc (meno di 10 centesimi di euro).

La prostituzione è un’attività largamente diffusa tra le bambine e i bambini di strada (anche se con una percentuale nettamente inferiore).

Le ragazze che si prostituiscono sono delle “jeunes filles” (a partire dai 14, 15 anni). Ogni comune presenta di notte uno o più siti di prostituzione.

Per ricevere i clienti utilizzano degli “endroits” ritirati e nascosti come piccoli vicoli tra le abitazioni. Più frequentemente invece utilizzano delle abitazioni o una sorta di motel (dove si affittano stanze non soltanto ad ore ma “a cliente”). Vengono presi accordi economici tra le ragazze e le proprietarie delle stanze. Le più piccole (a partire già dagli 8, 9 anni) si incontrano difficilmente direttamente sulla strada in quanto vengono gestite da un adulto che le raccoglie all’interno di un’abitazione. Sfruttamento economico e spesso anche sessuale in cambio di protezione contro possibili “malintenzionati”.

Altro dato che salta maggiormente agli occhi di notte è la presenza di intere famiglie di strada. Ci sono “enfants de la rue” che crescono e mettono al mondo (molto spesso prematuramente) dei figli continuando a vivere in strada.

Così questo genere di vita si trasmette di generazione in generazione.

E’ ciò che ad esempio si può osservare nel famoso 25esimo comune di Kinshasa , “Cimètiere”, dove si sono installate intere famiglie

 

 


Il progetto del Ciss e il mio tirocinio

 

Il progetto del Ciss dal titolo “Sostegno agli interventi pubblici e della società civile in favore dei bambini di strada della città di Kinshasa” si rivolge direttamente alla categoria più svantaggiata e bistrattata della società congolese: i minori.

Gli obiettivi sono vasti ed eterogenei proprio perché si cerca di risolvere i diversi aspetti del problema. Tra i gruppi beneficiari del progetto troviamo: 8.000 bambini di strada (bimbi e bimbe fino ai 16 anni) che beneficeranno di un miglioramento dei servizi; 280 bambini saranno coinvolti in un’azione di formazione e sensibilizzazione; 50 giovani verranno sostenuti nella creazione di piccole imprese agricole e 90 per piccole imprese urbane.

40 associazioni che operano nel settore del recupero dell’infanzia di strada saranno rinforzate.

90 formatori, 120 educatori e 240 operatori verranno formati.

40 rappresentanti di ONG e 20 operatori dei servizi pubblici saranno implicati in un processo di concertazione. Verrà messa in atto una campagna di sensibilizzazione riguardo alla problematica dei bambini di strada indirizzata ad una popolazione di 600.000 abitanti.

Ciò di cui mi sono occupata durante il mese e mezzo di tirocinio all’interno del Ciss è stato il seguire la fase preliminare di “mise en place” del progetto a Kinshasa.,l’approccio con il partner locale REEJER (rèseau des educateurs des enfants et des jeunes de la rue) e le dinamiche della concertazione e dell’approccio partecipativo, il coordinamento delle attività dei differenti partners interni al REEJER: quest’ultimo infatti consiste in una vasta piattaforma di circa 60 ONG tutte operanti nello stesso settore. Queste associazioni sono divise in due liste (lista A e lista B) a seconda della qualità raggiunta dell’operato sul campo. Della lista B ad esempio fanno parte le associazioni minori, appena nate o con minore esperienza nel campo e che hanno di conseguenza mezzi e possibilità ridotte.

Sono queste ultime che REEJER si sta impegnando di potenziare e sostenere nella crescita.

REEJER si occupa dunque di “tenere le fila” di questa rete di associazioni per distribuirsi al meglio compiti, attività ed iniziative, copertura dei vari siti a rischio della città.

Si occupa inoltre di mantenere i rapporti con le organizzazioni internazionali che operano a Kinshasa a favore dei bambini (Unicef, Save the children, Africare, Medecins du monde, Oxfam Quebec) e con i rappresentanti dell’autorità pubblica (Ministero degli affari sociali, Ministero dell’interno, Ministero della condizione femminile e della famiglia).

L’obiettivo di questo metodo di concertazione è non soltanto quello di evitare una dispersione di energie e un accavallamento di azioni ma soprattutto una crescita per le associazioni che in questo modo si stimolano a vicenda scambiandosi informazioni.

La mia impressione sulla rete è abbastanza positiva. Considerati i tempi endemicamente differenti e relativamente lenti rispetto alla mole della struttura, l’unico ed importante problema che ho constatato consiste nel pericolo concreto di trascurare le associazioni minori e (dato il numero elevato di soggetti) non coinvolgerle nelle decisioni.

Il consiglio d’amministrazione di REEJER infatti è costituito dai rappresentanti delle più grandi strutture.

Per toccare con mano la realtà dei bambini di strada ho scelto alcune tra le tante ONG che compongono la piattaforma REEJER dove recarmi direttamente svolgendo volontariato o portando avanti le mie ricerche per circa una settimana.

Le 4 ONG che ho scelto facenti parte della lista A sono:

OSEPER ( oeuvre de suivi, education et protection des enfants de la rue)

ORPER (oeuvre de reclassement et de protection des enfants de la rue)

VTA (vivre et travailler autrement)

La Samaritane

 

Le prime due grandi ONG presentano sia dei milieux ouverts che dei milieux fermès.

Per milieu ouvert si intende un centro di primo soccorso per i bambini che vivono in strada.

Nati come “points d’eau” ovvero come luoghi dove i bambini potevano lavarsi e lavare i propri vestiti molto spesso si sono evoluti in veri e propri centri di accoglienza aperti dove i bambini sono liberi di entrare e uscire in strada durante il giorno e la notte. Il sostentamento del bambino inoltre non è preso a carico completamente: solitamente si fornisce un solo pasto al giorno e non viene fatta scolarizzazione. I milieux fermès invece sono centri che ospitano i bambini 24 ore su 24. Il centro diventa una vera e propria casa per il bambino che viene così allontanato dalla vita in strada. Inoltre tutte le spese sono a carico dell’ONG (nutrizione, salute, scolarizzazione).

Entrambe le tipologie di centri gestite dalla stessa organizzazione operano in sinergia. I bambini passano sempre dal milieu ouvert (dove avviene il primo contatto con gli educatori) prima di arrivare al milieu fermè.

L’obiettivo dei centri è comunque identico: il reinserimento familiare.

 

Il percorso :

Il primo contatto con il bambino/a di strada avviene nel milieu ouvert. Qui il primo passo è “l’écoute”(l’ascolto): si ascolta il bambino cercando di raccogliere il maggior numero di informazioni relative al suo stato di “enfant de la rue”; origini familiari, cause della vita in strada, attività e abitudini,..). Viene così compilata dagli educatori una “fiche d’écoute”.

Il secondo passo è costituito da “l’enquete” (ricerca) portata avanti dagli “enqueteurs”. L’inchiesta ha come soggetto la famiglia rintracciata del bambino ascoltato.

Si pone in atto un vero e proprio confronto tra le due versioni dei fatti (molto spesso distanti l’una dall’altra) per cercare di gettare le basi del processo più lungo ma più importante: la mediazione familiare che ha come fine ultimo il reinserimento del bambino in famiglia, appurate le possibilità concrete. La mediazione familiare comincia già a partire dai milieux ouverts, ma nei casi in cui il reinserimento è più complesso si preferisce indirizzare il bambino in un milieu fermé così da poter seguire il singolo caso in maniera più approfondita.

Personalmente, all’interno dei centri mi sono rivolta all’ascolto diretto dei bambini (per comprendere le origini dell’espulsione dalla famiglia e le cause della vita in strada, le attività e le dinamiche sulla strada, le volontà stesse e nuove dei bambini) e all’analisi dal punto di vista organizzativo. A partire dalla struttura dell’organico fino alle attività e ai compiti del personale (stipendiato o volontario): ho effettuato delle vere e proprie interviste a coordinatori, responsabili, educatori, ausiliari e volontari dei centri.

In questa vasta gamma di voci provenienti dalla società civile non ho tralasciato l’approfondimento delle azioni che lo Stato sta cercando di mettere in pratica per risolvere il problema dell’infanzia di strada collaborando con le differenti anime, espressioni della società civile.

 

Situazione attuale

 

Attualmente la Repubblica democratica del Congo sta attraversando un periodo detto di “transizione” caratterizzato da un lungo processo di democratizzazione avviato nel 2003.

In concomitanza con gli accordi di Sun City, in Sudafrica, la RDC ha intrapreso un percorso che doveva terminare con la creazione della Costituzione (2005) e le prime vere, libere elezioni democratiche nel 2006. In realtà anche se sono stati compiuti grandi passi avanti grazie a questo processo di democratizzazione avviato e tanto desiderato dal popolo congolese le elezioni sono state rinviate per mesi (da maggio a luglio 2006).

Nonostante la mobilitazione di importanti attori internazionali come l’ONU e l’UE per supportare lo svolgimento delle elezioni (presidenziali, legislative e provinciali) di fatto lo svolgimento di queste ultime non è stato completamente limpido. Le condizioni di voto, i disagi, l’assenza di privacy e l’analfabetismo diffuso hanno permesso di pilotare le elezioni fino ad arrivare ad uno scontro già annunziato: quello tra i due leader Joseph Kabila ( figlio di Laurent Dèsirè Kabila e attuale presidente della Repubblica) e Bemba (uno dei 4 vicepresidenti, legato da tradizioni familiari a Mobutu).

La tensione (in particolar modo all’interno della capitale) sta palesemente aumentando con l’approssimarsi del secondo turno elettorale. Kinshasa è già stata infatti teatro di scontri all’alba dei primi risultati elettorali (il 21 e il 22 agosto) che hanno causato 33 morti in pieno centro, nel quartiere della Gombe. Altre avvisaglie si sono avute con l’incendio all’edificio da cui trasmettono i canali televisivi appartenenti a Bemba (CCTV). La notte è diventata sempre più insicura specialmente per la forte presenza militare (di entrambe le fazioni) sul territorio.

E i bambini di strada? Se la città diventa più pericolosa i primi a farne le spese sono proprio loro. In primo luogo perché vengono additati dall’opinione pubblica come i promotori dei disordini interni mentre la realtà è ben diversa. Si tratta infatti di pochi e più adulti agitatori che coinvolgono nei movimenti di strada e nelle manifestazioni i minori sempre in balìa di ogni tipo di manipolazione in quanto gruppo a rischio e non protetto. In secondo luogo la polizia di Kinshasa ha dato il via a delle operazioni di “pulizia della strada”: si tratta di vere e proprie retate notturne in cui chiunque sembri soggetto senza tetto viene prelevato con la forza e trasportato in un centro di polizia. Qui possono essere trattenuti anche per 3 giorni (è quello che ho appurato con i miei occhi all’I.P.K.,institut de police de Kinshasa) in condizioni inimmaginabili.

Queste operazioni giustificate come “preventive” hanno l’obiettivo si rendere più sicure le strade della capitale. La polizia raccoglie chiunque: agitatori, piccoli delinquenti,.. quello che non riesco a capire è come si possa confondere un bambino di 4 anni o una bambina che va al mercato per vendere i suoi manghi come potenziali pericoli che attentano alla sicurezza della città.

Il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e del bambino non viene neppur lontanamente considerato. Quello che si limita a fare lo Stato, in questo momento di crisi, è cercare di identificare i soggetti erranti e distribuire, quando è possibile (date le capacità) i minori di 15 anni nei centri di accoglienza di Kinshasa. REEJER sta lavorando per rispondere all’emergenza in sinergia con le grandi organizzazioni governative e non governative internazionali.

Questo però non giustifica le procedure (assolutamente inutili e di facciata) e i metodi utilizzati.

Tenere i bambini in ostaggio con un tozzo di pane al giorno, umiliarli e maltrattarli e poi spedirli come un pacco postale in un milieu ouvert per chissà quante esigue ore non è sicuramente la soluzione ai problemi di ordine pubblico della città di Kinshasa.

Nessuno dei due leader, giunti al ballottaggio, vorrà cedere la poltrona all’altro con facilità, nonostante la più o meno chiara evidenza dei risultati.

Quello che fa ben sperare è sapere direttamente dai cittadini congolesi che nessuno vuole più una guerra e che tutti indistintamente credono veramente in questo processo di democratizzazione del paese.

 

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