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21 luglio 2014

Con la Palestina nel cuoreAhed Atef Bakir, 10 anni, Mohammad Ramiz Bakir, 11 anni, Zakariya Ahed Bakir, 10 anni, Ismail Mahmoud Bakir, 9 anni, uccisi da un bombardamento israeliano mentre giocavano in spiaggia a Gaza City.
Sono solo i nomi, perché di loro non si vedranno mai i volti, di 4 degli ormai 112 bambini al 20 luglio (ma tenere il conto non è facile ed è spiacevole, come tenere il conto e nominare tutte le donne, gli uomini, i giovani e gli anziani, più di 230 persone di cui l’80% civili) uccisi dai bombardamenti israeliani in questa guerra CONTRO Gaza e contro la popolazione di Gaza.

Non sono i “nostri” bambini, i bambini con cui il CISS sta lavorando a Gaza dal 2009 con progetti di sostegno psicosociale e attività di formazione e rafforzamento di operatori locali attraverso attività ludico/ricreative, non hanno partecipato fattivamente alle nostre attività, ma sono comunque nostri.

Dovrebbero essere i bambini di tutti, perché stavano solo giocando quando sono stati macellati dai proiettili della marina israeliana in un’operazione senza senso alcuno, mentre correvano terrorizzati dopo il primo razzo lanciato. Dovrebbero essere i bambini di tutti perché in questa guerra contro Gaza c’è una popolazione che soffre e muore mentre la comunità internazionale non fa che timidi inutili tentativi se non sta ferma a guardare.
Dovrebbero essere i bambini di tutti, perché dal 2007 la popolazione di Gaza è costantemente sotto assedio, pressioni, embargo, limitazioni di qualsiasi tipo e operazioni militari che di volta in volta minano il senso di futuro, la possibilità di futuro, la possibilità di una normalità che nessuno può arrogarsi il diritto di concedere o meno, come a Gaza avviene.

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Al 12° giorno dell’offensiva militare israeliana – 19 luglio 2014


Con la Palestina nel Cuore. Presidio solidarietà Gaza -12.07.14 033 (2)Non ci sono molte parole per descrivere quello che si prova quando un tuo caro amico, una persona che è ormai parte di te, della tua famiglia, che vedi ogni giorno, ti dice che non ce la fa più, che le continue pressioni, le minacce psicologiche e il rumore delle esplosioni a volte ti fanno venire voglia di morire
. Che quando ricevi l’ordine di evacuazione non sai se è una finta o se devi andare via davvero… e poi, andare dove? Come sapere in quante altre zone ci sono stati questi avvertimenti? Come scendere in strada e rischiare di mettere a rischio la tua famiglia? ..Andare dove? Non esiste un luogo sicuro o più sicuro di altri. Non sai dove, quando, chi sarà colpito e perché.

….”e poi immagina cosa vuol dire lasciare la tua casa, io mi sono già spostato una volta e non c’e’ un minuto in cui non penso di volere tornare lì.. Non mi sposto di nuovo”.

Negli ultimi giorni sono arrivati avvertimenti tramite volantini e sms a più di 100.000 persone. Sono in tanti a pensare che tutto questo faccia parte di una guerra psicologica che serve a fiaccare gli animi, a diffondere la paura, a desiderare di…

Attraverso i social Network sta girando una foto per spiegare, con una triste ironia, la situazione in cui si trovano le famiglie:

“Israele: Vi conviene evacuare, stiamo per bombardare.
Gaza: Allora veniamo da voi.
Israele: non potete venire in Israele, siete Palestinesi.
Gaza: Ma voi controllate tutti i confini, dove dovremmo andare?
Israele: E’ un vostro problema.
Gaza: quindi restiamo qui?
Israele: Se volete, ma non dite poi che non vi abbiamo avvertito!”.

S. è un’altra delle nostre animatrici di Beit Lahya, a detta di tutti è esplosiva e ha un sorriso travolgente. Bisogna stare attenti a non farla arrabbiare perché è una che difende con forza quello che pensa, senza paura e che trasmette questa energia ai bambini. “Stiamo tutti bene, hamdulillah, ma hanno bombardato la casa dei nostri vicini, ci sono stati molti feriti e la nostra casa si è completamente distrutta anche mia nipote è rimasta ferita ma per fortuna non è grave. Siamo scappati verso la Middle Area, a casa della famiglia di mio marito, nel campo profughi di al Bureij. I miei genitori però sono ancora a Beit Lahya, la situazione lì è terribile… li sento ogni giorno, se Dio vuole andrà tutto bene”.

Per capire la dimensione di quello che sta avvenendo, che i nostri amici e colleghi descrivono come “mille volte peggio dell’attacco del novembre 2012 perché questa volta colpiscono direttamente le case! Le case, capisci?”, vogliamo darvi alcuni dati, anche se dovete tenere a mente che i “numeri” dovrebbero essere aggiornati ora dopo ora.

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di Valentina Venditti – 14 novembre 2013

E’ di nuovo il 14 Novembre..giusto un anno fa aveva inizio l’attacco militare israeliano “Colonna di Difesa” durante il quale sono state uccise più di 170 persone di cui il 96% civili (secondo i dati del PCHR), tra cui più di 60 bambini, un terzo sotto i 5 anni. Più di 1.200 persone sono rimaste ferite e tra queste più di 260 minori.

Giusto un anno fa, di mattina, accompagnavo una neuropsichiatra italiana ad incontrare i bambini affetti da post-trauma a seguito del precedente attacco “Piombo Fuso” del 2009 durante il quale sono state uccise più di 1.400 persone di cui un quarto minori (23% dei bambini tra 5-10 e 62% tra gli 11 e I 17) e ferite più di 5.000 tra cui 1400 minori.

Giusto un anno fa…stavo ascoltando i racconti dei bambini, racconti di guerra visti con i loro occhi… a poche ore dall’inizio dell’operazione.

La storia di A. Un bambino che seguiamo da tre anni… Leggi il seguito di questo post »

PERCHÉ DICIAMO NO A UN INTERVENTO MILITARE IN SIRIA.

Siamo un’organizzazione non governativa; non possiamo accettare letture dicotomiche di una realtà complessa e non vogliamo cadere nella trappola che impone di stare con o contro Assad, con o contro gli oppositori al regime, a seconda degli interessi geopolitici ed economici prevalenti. Il nostro interesse è lavorare perché prevalgano sempre democrazia, pace e sviluppo, le uniche condizioni per garantire il rispetto dei diritti umani e la costruzione di progetti di vita individuali e collettivi.

La nostra attenzione va alle popolazioni, indipendentemente dalle parti in conflitto.

La guerra non è mai una soluzione; non lo è mai soprattutto per i più deboli.

Le prime vittime di quanto dal 2011 sta accadendo in Siria sono i civili e i civili continueranno a essere inevitabilmente le vittime di un attacco militare esterno. Sono sempre i civili le prime vittime dell’uso della forza: donne, bambini e anziani, uomini inermi già in fuga dalla Siria in cerca di un rifugio nei paesi vicini. Sono tanti quelli giunti in Europa in questi giorni, stravolgendo le proprie vite per fuggire dalle violenze in corso e ancor più dalle conseguenze di un attacco militare. Ne siamo testimoni ogni giorno in Sicilia.

L’impatto di un intervento militare non si fermerebbe alla Siria, ma coinvolgerebbe l’intera area Mediterranea. Il Mediterraneo è casa nostra e da anni insieme a tante ONG e associazioni dei paesi delle due sponde lavoriamo per lo sviluppo della pace, del dialogo e della democrazia. E’ inaccettabile che adesso, in nome della democrazia, prevalga l’idea dell’uso della forza come unico strumento di risoluzione dei conflitti.

La guerra non ha nulla di umanitario e non esistono guerre umanitarie.

Il legittimo orrore per le stragi di civili in Siria non può portare a una moltiplicazione dell’orrore e delle vittime. Dell’uso della forza non vogliamo essere complici

Per questo ci appelliamo al governo italiano, ricordando l’art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, ripetutamente calpestato, “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (..)”, affinché si pronunci contro la guerra in modo chiaro e si adoperi con tutti gli strumenti possibili in ambito internazionale per promuovere una soluzione politica alla crisi siriana.

La guerra non è strumento di risoluzione delle controversie internazionali.

di Giulia Gianguzza – stagista CISS

Il giorno 3 gennaio si è tenuto un incontro promosso dal CISS presso l’associazione culturale Malaussène di Palermo; tema dell’incontro era la divulgazione di una testimonianza diretta dei giorni dei bombardamenti che a partire dal 14 novembre scorso hanno colpito Gaza.

I bombardamenti diventano lo spunto per raccontare il vivere quotidiano in quest’area che di fatto si trova sotto assedio permanente dal ’48, un’area che ospita più di un milione e mezzo di abitanti, costretti a vivere una paradossale situazione di occupazione e prigionia, senza speranze di cambiamento immediato. A presiedere l’incontro sono i cooperanti del CISS in Palestina, Salvo Maraventano e Valentina Venditti insieme alla neuropsichiatra infantile Maria Patrizia Salatiello.

Raccontano dei bombardamenti, che sono durati in tutto otto giorni; nei primi quattro giorni sono stati colpiti i punti nevralgici, come gli edifici pubblici, i ministeri, la sede della polizia, ma i bombardamenti mirati ad un singolo edificio colpivano spesso quelli vicini. Il concetto di “bombardamento mirato” infatti non sussiste in un territorio sovrappopolato quale Gaza. Inoltre la tipologia di bombe utilizzata, progettate per scoppiare solo dopo l’impatto – provocando un’esplosione dal basso verso l’alto – ha fatto letteralmente collassare gli edifici, di conseguenza spostare le strutture in cemento risulta ora davvero difficile. Ad ogni modo nei quattro giorni seguenti sono state colpite anche duemila abitazioni, moschee, scuole, ospedali e il Palazzo della Stampa (al-Shuruq Tower), un taxi della Press TV e la sede di Al Jazeera. Il singolo bombardamento che ha procurato il maggior numero di vittime civili, tra cui 5 bambini, è stato quello che ha distrutto la casa della famiglia ad-Dalu. Leggi il seguito di questo post »

di Luigi Menchini – cooperante CISS in Libano

Il confine del nord del Libano con la Siria è sempre stato quasi poco più di una pretesa di formalità, negli ultimi 5 o 6 anni; attraversarlo in un senso o nell’altro non era mai un problema per le persone, e pochi problemi incontravano pure per le merci.

Il contrabbando infatti è sempre stato uno dei pilastri dello sviluppo economico, in quest’area dove attività produttive vere e proprie, redditizie e legali al 100% davvero non riescono ad allignare; se proprio non direttamente incoraggiato dalle autorità di entrambi i paesi, il fiorente sistema di traffici di tutti i tipi neppure è mai stato osteggiato sul serio. In fondo riusciva a supplire ad un sistema di scambi e di mercato legale quasi del tutto inesistente – per cui il sistema “clandestino” non poteva certo danneggiare l’ufficiale; in più generava redditi, posti di lavoro, buona circolazione di divisa anche pregiata, mentre assicurava il rifornimento di merci e beni di buona qualità a costi contenuti sopratutto al mercato libanese – altrimente asfittico.

Infatti il Libano ha da anni una sola frontiera terrestre “aperta”, quella con la Siria, che in realtà avvolge l’intero paese da nord a sud, fino a quell’estremo confine sud cioè dove comincia il territorio sotto occupazione militare israeliana, in costante stato di guerra più o meno “low intesity”, dove gli scambi di bombardamenti sono la regola – l’ultimo in ordine di tempo neanche un mese fa.

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di Cristiana Dell’Aira – consulente CISS in Guatemala

La storia recente del Guatemala è segnata da una delle più lunghe e sanguinose guerre civili dell’America latina, terminata nel 1996 con un accordo di pace. Più di 200.000 morti, 45.000 scomparsi e 5.000 donne violentate, questo è il saldo di 36 anni di guerra. Un gigantesco archivio di polizia scoperto pochi anni fa getta nuova luce sugli orrori di quegli anni. I documenti sono conservati in forma digitale a Berna.

Già tre anni dopo la firma dell’accordo, la commissione nazionale incaricata di indagare le violazioni dei diritti umani nel paese centro-americano si era lamentata del fatto che le autorità civili e militari del paese ostacolassero le ricerche sui crimini commessi durante il conflitto armato, non permettendo l’accesso a documenti rilevanti. Da questo punto di vista, la situazione è cambiata repentinamente nel luglio del 2005, quando collaboratori della Procura guatemalteca per i diritti umani hanno rinvenuto in un vecchio deposito di munizioni, un enorme archivio che custodisce atti della polizia del Guatemala degli ultimi 120 anni. La scoperta dell’archivio di polizia ha fornito alle autorità inquirenti uno strumento di grande importanza per far luce sui crimini contro l’umanità avvenuti in Guatemala.

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di Giorgia Baldi – cooperante CISS in Libano

PICT8365Il 5 e 6 ottobre 2009 si è svolto, all’UNESCO Palace di Beirut, il Film Festival organizzato dal CISS in collaborazione con il partner locale Beit Atfal Assomud. Il film festival ha rappresentato l’evento finale del progetto: “Mustaqbal: nuove prospettive per i giovani palestinesi di Tiro e Tripoli”, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri Italiano.

Il progetto, durato 4 anni, ha visto l’attivazione di due scuole professionali, una presso il campo profughi di Beddawi ed un’altra a Burj el Shemali e, nell’ultimo anno di progetto, anche la realizzazione di una serie di attività culturali volte a favorire il dialogo interculturale fra libanesi e palestinesi in Libano.

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di Elmar Loreti – cooperante CISS in Mauritania

Per non fare confusione fra i soldi del progetto e i miei soldi, ho dovuto cercare un nuovo portafoglio. Il portafoglio l’ho trovato ma la confusione resta.

Però non è di questo che voglio parlare; voglio parlare del portafoglio.

Il portafoglio che ho trovato, ovviamente.

Tutti, credo, nella nostra gioventù ne abbiamo avuto almeno uno: si trovavano spesso in regalo nei giornaletti tipo Topolino o Cioè, oppure nel detersivo; io ce l’avevo del Milan (sbandamenti giovanili per il grande Milan di Sacchi, quando Berlusconi aveva ancora i capelli veri), trovato in, appunto, “Milan squadra mia”.

Di quelli di fibra sintetica, la stampa che si scrosta; con una cerniera – invero prona al malfunzionamento – a salvaguardare le mille lire custodite lì dentro. Quei portafogli che si chiudevano con lo strap.

Ecco, dopo la contrattazione di rito all’ombra incerta degli alberi di viale Kennedy, mi sono portato a casa, per la modica cifra di 80 centesimi, un portafoglio di questo genere.

Non è comodo, devo ammetterlo: la cerniera si è rotta quasi subito, lasciando le monete libere di cadere ogni volta che tiro fuori il portafoglio; la chiusura ormai penzola tristemente, con gli ultimi fili della cucitura che resistono strenuamente nel loro sforzo inutile.

Al momento di comprarlo sapevo che questo portafoglio non era comodo, però l’ho comprato lo stesso: non avrei potuto fare altrimenti, la stampa sul dorso mi ha attirato irresistibilmente. Sul dorso, bordato da una striscia nera che si sta, manco a dirlo, scucendo, c’è una stampa divisa in due parti: sul lato sinistro c’è una bandiera americana, sul lato destro c’è la foto di Osama Bin Laden, con tanto di nome.

America da un lato, Al Qaeda dall’altro.

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di Antonella Di Salvo

Partenza 8 luglio da Palermo…lungo viaggio da sola dove qualche simpatico incontro e i pensieri su ciò che avrei trovato mi hanno fatto compagnia.

Tante emozioni contrastanti: grande entusiasmo, qualche dubbio, un po’di incertezze ma soprattutto tante aspettative…Tante persone raccontano la propria esperienza nella grande Mamma Africa, con i suoi colori, i suoi profumi, i suoi sapori, i suoi sorrisi ma anche le sue paure e i suoi dolori, e tutto alimenta un vortice nella testa che è già piena di pensieri senza ancora esserci veramente.

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