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di Elmar Loreti

Di sicuro il tempo ce l’ha avuto, per favoleggiare sulla città misteriosa; chissà quanti giorni di valoroso cammino erano passati da quando s’era svegliata dal suo letargo. Giorni di abeti con la punta che si perdeva fra le nuvole; giorni di prati e di neve a sciogliersi sui prati; giorni di campi of course.

Giorni in cui Tartaruga N°4, saggia della saggezza dell’antico maestro zen Towelie, aveva evitato con attenzione di fare uso delle coltivazioni locali, limitando i suoi esperimenti culinari: – Non per fare una cosa, in questo caso camminare – s’era detta Tartaruga N°4 – magari dopo, per premiarmi!

Finalmente eccola, questa piccola tartarughina che entra – con una spensieratezza che, ai più, parrebbe cauta circospezione – nella città degli uomini incappucciati; o almeno questo è quello che ne sa lei. Non molto, sufficiente a farle guardare con curiosità un parco giochi nuovo di zecca, all’ombra degli abeti e, di là dalla strada, una scuola dipinta di rosa, anch’essa nuova di zecca. Leggi il seguito di questo post »

di Elmar Loreti – cooperante CISS in Marocco 

E’ dura aprire le gli occhi, quando il fisico non collabora: le palpebre si oppongono, fanno resistenza passiva in questo sit-in improvvisato sul muso di Tartaruga N°4. Un enorme sbadiglio si impadronisce del suo becco; l’aria frizzante della mattina dirada la nebbia che ancora avvolge i pensieri della piccola tartaruga.
E’ mattina, sì. Ma quanto tempo è passato da quando s’era addormentata?
Quanti giorni sono passati da quando ha salutato il topo?
Quanto ci ha messo per scalare la montagna?
Ha la sensazione che il suo letargo, giusto ozio che madre natura aveva accordato alle tartarughe, sia iniziato un pò in anticipo sulla tabella di marcia, ma non saprebbe dire se si sia poi anche svegliata in anticipo o se abbia tirato dritto.
Ricorda la strada, però.
Ricorda la strada e si dice che un viaggiatore merita di riposarsi, dopo una grande impresa. E questa era stata proprio una grande impresa.

Come altro si potrebbe chiamare una salita come questa, se fatta con le zampette di una tartaruga preadolescente?
La poiana aveva forse osservato, nel suo planare, questa insignificante macchiolina che, come in un time-lapse fuori dal tempo, guadagnava un tornante dopo l’altro.
Forse s’era detta che, nonostante la sua natura di predatore, per questa volta avrebbe potuto fare un’eccezione e vegliare su questo piccolo viaggiatore che andava a Sud, invece di gettarsi in una picchiata rapace e mortifera. E questa insignificante macchiolina, che vista da vicino prendeva le sembianze di un touriste de camping-cars senza documenti, era salita imperterrita più su dei frutteti, più su degli orti. Di quando in quando un villaggio aggrappato al costone ripido, con la moschea a dominare il panorama.

Un giorno dopo l’altro, a piccoli passi attraverso le stagioni, Tartaruga N° 4 aveva camminato fino a lasciarsi indietro gli orti e gli uliveti. Erano chiazze di verdi diversi, sempre più indistinti allo sguardo miope con cui Tartaruga N° 4, la sera, abbracciava la strada percorsa e, giù, sempre più in basso, la valle e il fiume e quel blu profondo da cui era iniziato – chissà quanto tempo fa – il suo viaggio. Certi giorni le nuvole si erano addensate, nere di pioggia, sopra la montagna. Certi giorni nuvole basse basse venivano dal mare, invadendo la valle come i tentacoli di un latteo mostro da film horror. Leggi il seguito di questo post »

di Elmar Loreti – cooperante CISS in Marocco

Ai mandorli si aggiungono i meli e Tartaruga N°4 si gode il paesaggio e quella comoda e ombreggiata striscia di erba che segue fedele la stradetta. Alla sua destra un piccolo fosso che, la sera, fornisce il meritato refrigerio alle zampe indolenzite se non dai chilometri almeno dalle centinaia di metri percorsi durante la giornata. Refrigerio per lei e, a quanto pare, palcoscenico notturno per centinaia di rane.

– Sono cantanti ispirate, si sa- si dice Tartaruga N°4 affondando, quasi in dormiveglia, la testa sotto la zampa – E hanno senso del ritmo, grove, su questo non c’è dubbio.
Chissà poi se i testi sono all’altezza?-

Sbadiglia, le palpebre che scendono a rallentatore sugli occhi, e Tartaruga N°4 si fa cullare dal grove delle rane, sorretto dai bassi maestosi dei rospi, nel giusto riposo del viaggiatore.

Oltre il fosso una riva di terra, da cui radici grandi e piccole escono come chiedendosi dove diavolo sia finito il terreno. In cima alla riva siepi e piante e poi alberi -peri, mandorli, meli- sopra di loro. Questi alberi, e la loro buona abitudine di sporgersi sulla strada per lasciar cadere alcuni frutti, ricevono uno a uno il ringraziamento – silenzioso ma significativo – di Tartaruga N°4. Coi mandorli forse è più avara, di riconoscenza, ma è solo perché non è ancora stagione perché anche loro possano contribuire al suo sostentamento. Leggi il seguito di questo post »

di Elmar Loreti – cooperante CISS in Marocco

E cammina e cammina, Tartaruga N° 4 segue la strada che si snoda fra le colline rossastre, talvolta taglia per i campi, cammina all’ombra degli eucalipti e compie qualche piccola deviazione per andare a gustare i fichi d’india caduti accanto ai cactus, senza curarsi degli sciami di piccole spine che poco possono contro la sua pelle ispessita. Un oued in secca è l’occasione per idratarsi sotto qualche sasso, dove la terra è ancora umida, e vale la perdita di un paio di giorni, fra scendere e risalire il fiume fantasma.

Dopotutto cosa sono un paio di giorni per un viandante che va a Sud? Sempre meglio, del resto, degli uomini e del loro fisico poco sostenibile -addirittura traspirano, questi spreconi!- che li costringe a comportamenti irrazionali, come buttar via il tempo delle bambine facendole andare avanti e indietro a prendere l’acqua da bere alla fontana, in grosse taniche. O come doversi portare -e poi lasciare in giro, dappertutto sembrerebbe- scomode e antiestetiche bottiglie di plastica.

Ha già passato il bivio che, come indicava un cartello stinto, porta a Torres de Alcalà. Ha annusato l’aria e l’aria le ha detto fogna, sardine e brutte case a cubo, quasi senza finestre; alla sua sinistra, la fila di pannelli dell’ecoresort continuava a perdita d’occhio, in direzione proprio di Torres. -Meglio l’altra direzione- si era detta Tartaruga N. 4. Leggi il seguito di questo post »

di Elmar Loreti – cooperante CISS in Marocco

Eccola quindi Tartaruga N°4, avanzare un passo alla volta fuori dalla tenda, strisciando la pancia nella polvere. Ha deciso di andare a Sud e per prima cosa volta la testa calva e si sincera di dove sia il Nord: proprio lì dove deve essere, in mezzo all’immensità blu, in linea con la sua codina tozza come lo sarebbe con l’ago di una bussola.

Fatta questa verifica, Tartaruga N°4 drizza la testa e annusa che odore ha il Sud: un bouquet di essenze e di colori, che inizia con i pini e la lavanda e si srotola in odori ariosi di spazi immensi e odori grevi di persone ammassate le une sulle altre; odori alpini di sorgenti gorgoglianti e odori immoti di arbusti rinsecchiti, spazzati dal vento di sabbia; odori del nulla più ineluttabile e del tutto moltiplicato per sé stesso e con qualche cosa in più. Odori di nascite, odori di amore e odori di morte. Un po’ come l’odore che c’era in tutto il mondo e che generazioni di nasi di tartaruga le avevano impresso nella memoria; però un po’ diverso, più estremo ma in molte differenti direzioni, come se fosse composto da quanto di più bello e da quanto di più orribile ci sia al mondo, allo stesso tempo.

La tartaruga muove i primi passi verso la sua destinazione, qualunque essa sia, aggirando o scavalcando i piccoli sassi di quel terrazzamento polveroso. Passa sotto la macchina, parcheggiata accanto alla tenda, e si sente come Kerouac quando lascia Manhattan per andare a conoscere on the road gli Stati Uniti. Si volta indietro e vede la gattina giocherellare ignara con uno dei fili di plastica della stuoia e, a tratti, con la sua stessa coda. A parte la storia del gatto trasportato sul guscio dell’enorme tartaruga -di cui non capisce se l’origine sia una memoria millenaria o youtube- non le pare che le tartarughe abbiano un ruolo nell’educazione dei felini di piccola taglia.

Benché di cose ne avrebbe ancora molte da insegnare a quella palla di pelo, pensa che di certo lo farà qualcun altro: magari proprio il ragazzo e la ragazza.

– Se la caverà anche senza di me- si dice Tartaruga N°4.

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di Elmar Loreti – cooperante CISS in Marocco

Prefazione o, come si direbbe nell’ambiente, Contesto e Giustificazione.

Questa è la storia vera di un animale domestico, una tartaruga, entrato un po’ per caso -e senza fare troppo chiasso- nella vita di due cooperanti che lavorano in Marocco. Questa è la storia vera di come questi due siano andati in vacanza sulla costa mediterranea del Marocco, a pochi chilometri dalla capitale del Rif, Al Hoceima, portandosi dietro sia la tartaruga che una gattina e di come la tartaruga abbia deciso di abbandonarli a poche ore dal loro arrivo. Questa è la storia vera delle ragioni di questa scelta -o almeno questa è l’idea che se ne sono fatti i due cooperanti- e delle conseguenze che essa ha avuto; non ultima la transustanziazione di un animale domestico in un personaggio letterario. Un cavaliere errante di una lentezza fuori dal tempo per raccontare il presente del Sud, dei Sud, camminando rasoterra al seguito di una tartaruga non più grande del palmo di una mano, guardando il mondo con i suoi occhi e con la saggezza millenaria di cui le rughe sul suo muso sono portatrici.
O forse un modo per dare un senso alla perdita di quattro tartarughe in sette mesi, arrivate per caso, a coppie, in casa e partite in modi e tempi diversi. Narriamo le gesta dell’unica che ha deciso di andarsene per celebrare la memoria delle altre tre, perite prima di poter prendere qualsivoglia decisione. Leggi il seguito di questo post »

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