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BETLEMME (14)

Quello che sta accadendo in Palestina dal 1 di Ottobre e’ sotto gli occhi di tutti. Dal primo ottobre ad oggi, si contano circa 70 morti tra uomini e donne palestinesi, molti giovanissimi, e 9 israeliani.

13, 14, 15, 16 anni sono le età di molte delle vittime palestinesi. Studenti, giovani e giovanissimi sono indicati da tutti come i nuovi protagonisti di proteste e lotta contro gli israeliani che occupano e colonizzano la loro terra. Dall’altra parte, l’intensificarsi delle misure di contrasto (chiusura di quartieri, uso di lacrimogeni, aggressioni, uccisioni extragiudiziarie) stanno preoccupando molto la comunità internazionale che non riesce ad avere, almeno fino ad oggi, voce e peso nelle decisioni del governo israeliano. La società civile continua dal canto suo ad affermare che è necessario affrontare le vere cause della violenza: la negazione della libertà palestinese e l’occupazione.

Come ha scritto recentemente l’attivista palestinese Hanan Ashrawi, i palestinesi sono l’unico popolo sulla terra a cui è chiesto di garantire la sicurezza degli occupanti, mentre Israele è l’unico paese che esige di essere protetto dalle proprie vittime. Come possiamo rispondere?
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di Silvia C. – volontaria CISS in Palestina

Le problematiche dei palestinesi che vivono a Gerusalemme Est

Entrata del Suq Attarin in città vecchiaChe si appartenga a una fede religiosa oppure no, penso sia impossibile non rimanere colpiti dalle emozioni che la Città Santa per eccellenza è in grado di suscitare. I colori, gli odori, gli scorci che caratterizzano Gerusalemme si mescolano, si intrecciano, per affascinare chiunque la visiti.

Frequentare quotidianamente la città vecchia tuttavia, lascia anche un altro tipo di sensazioni, meno poetiche e più sconfortanti.

Il simpatico vecchietto circondato da incensi e kefieh al Suq Al-Attarin, giorno dopo giorno inizia a rappresentare, agli occhi di un turista non distratto, tutte quelle problematiche con cui un commerciante della città vecchia deve fare i conti; e le provocazioni dei coloni (che ogni tanto decidono di “innaffiare” la merce dei venditori dall’alto dei loro balconi ornati da bandierine bianche e blu) fanno solo da contorno alle infinite difficoltà burocratiche, che mettono quotidianamente alla prova la sopravvivenza delle attività commerciali dei palestinesi.  Leggi il seguito di questo post »

di Silvia C. – volontaria CISS in Palestina

Durante una delle ultime giornate di workshop che sto svolgendo in Città vecchia con il CAC – Community Action Center, una notizia mi ha colto di sorpresa, per non dire che mi ha stordita. Ero con le altre due ragazze del centro nella stanza in cui normalmente aspettiamo che arrivino i ragazzi e, come di consueto, abbiamo chiamato i “ritardatari” per capire se sarebbero arrivati oppure no.
Ad un certo punto una delle due si è avvicinata e mi ha detto: “Rashid non verrà. Due giorni fa i soldati lo hanno arrestato.” Cosa??
Intontita mi sono seduta e ho cercato di fare mente locale. Non sono un granché brava a ricordare i nomi, ma questo lo ricordavo bene.
Nell’incontro precedente infatti, soltanto Rashid, tra tutti, era riuscito a trovare informazioni su una delle Aqabat di Gerusalemme (il nome indica un particolare tipo di strade della città vecchia) che inseriremo nella guida turistica, obiettivo del nostro progetto.
Coinvolgere ragazzi di quindici anni in attività del genere può essere difficile, ma lui quella volta mi aveva sorpreso: nonostante avesse preso parte al workshop soltanto dopo i primi 3 incontri, era stato coinvolto dall’iniziativa.

Abbiamo condiviso quanto accaduto quel martedì durante una riunione con lo staff del CAC. Il direttore ha subito affermato che in quanto centro di supporto legale, avrebbe preso al più presto i contatti con la famiglia di Rashid per poter dare tutto il sostegno possibile.
Dopo aver chiamato i genitori, il lunedì dopo siamo andati a casa sua per avere informazioni in più sull’accaduto, che ha sconvolto tutti. Il padre e la madre del ragazzo ci hanno accolti nella loro casa, umile quanto accogliente, e ci hanno resi partecipi dei fatti: Rashid è stato accusato di aver lanciato una molotov contro un soldato e, nonostante non avessero le prove sufficienti, è stato trattenuto; passerà quindi il prossimo mese in carcere in chissà quali condizioni.
I racconti del padre e gli occhi persi nel vuoto della madre mentre lo ascoltava mi hanno lasciato stordita.
I due hanno visto il figlio soltanto in tribunale; quando il giudice ha chiesto al ragazzo se fosse stato picchiato, lui ha risposto di sì. Tuttavia, per “mancanza di prove” questo dettaglio non è stato registrato nei verbali.
La cosa che più di tutte ci ha amareggiati è stato vedere i genitori in un atteggiamento di rassegnazione e impotenza davanti a quello che è successo. Parlavano come se fosse normale il fatto che il loro figlio quattordicenne, con voti alti a scuola, fosse dietro le sbarre, lasciandolo quasi abbandonato al suo destino.
Mashallah” dicono qui “Quello che vuole Dio”. Non so come definire l’atteggiamento dei genitori, se non di accettazione, di adattamento a una situazione che purtroppo ha reso un tale fenomeno una routine. Leggi il seguito di questo post »

di Silvia C. – volontaria CISS in Palestina

Da qualche mese ho iniziato a gestire un progetto nell’ambito del programma Euro-Med Youth in Action per il Servizio di Volontariato Europeo, dedicato ai giovani, di cui l’associazione Community Action Center – CAC (partner del CISS) di Gerusalemme è promotrice. L’obiettivo principale delle attività è quello di offrire a un gruppo di giovani di Gerusalemme Est nuove possibilità di partecipazione e inclusione democratica, attraverso la creazione di uno spazio sociale, che li vede protagonisti in attività inerenti alla cittadinanza attiva.

Parlare di cittadinanza attiva in una città come Gerusalemme è certamente un concetto delicato, se non paradossale. Come conseguenza dell’occupazione israeliana, gli abitanti di Gerusalemme Est, inclusi quelli della Città Vecchia, risultano soltanto come “residenti” e non cittadini, con tutte le privazioni in termini di diritti che derivano da una tale identità legale: dall’esser soggetti alla pratica della demolizione delle case all’espropriazione arbitraria (1).

Lo staff del CISS e del CAC hanno definito insieme il percorso che sarebbe nato da questa collaborazione: in un contesto in cui i ragazzi difficilmente riescono a vivere liberamente gli spazi all’interno della propria città, il tentativo rivolto a restituire loro la possibilità di riappropriarsi dei propri luoghi acquista senso. In che modo?

Workshop a Gerusalemme la città vista con gli occhi dei ragazziI partecipanti saranno delle vere e proprie guide turistiche alternative. In questo modo saranno loro a raccontare la loro città, partendo dalla raccolta di informazioni storiche per arrivare a una serie di materiali fotografici e video, in grado di narrare la vita quotidiana e i diversi significati emotivi di cui ogni singola strada, ogni singolo cantone di Gerusalemme, può riempirsi.

Dopo una serie di attività preparatorie, a gennaio è stato dato il via agli incontri con il gruppo dei ragazzi. Leggi il seguito di questo post »

di Silvia C. – volontaria in Palestina

Qualche giorno fa mi trovavo di fronte alla sede del CAC – Community Action Center, l’associazione partner del progetto a cui sto partecipando – e una ragazza dello staff mi ha proposto di unirmi ad un giro “turistico alternativo”, con una guida palestinese di nome Mahmud.

Ho ringraziato per la possibilità e incuriosita dall’occasione, mi sono unita.

Il percorso consisteva nel visitare le abitazioni degli abitanti di Gerusalemme Est la cui struttura è messa a rischio dalle costruzioni israeliane. Le evidenti spaccature sui muri sono dovute ai recenti lavori intrapresi dall’edilizia israeliana, che stanno a poco a poco distruggendo le fondamenta delle case preesistenti.

Una delle abitazioni le cui crepe mettono a rischio le famiglie che vivono al suo interno nel quartiere cristiano della Città vecchiaDurante il percorso sono riuscita a scattare solo un paio di foto, come quella a sinistra.

L’immagine mostra il soggiorno di una casa nella città vecchia di Gerusalemme, quindi zona Est, che circa due mesi fa ha iniziato a cedere.

Gli insediamenti israeliani nei territori occupati sono delle edificazioni abitate da comunità ebraiche costruite nei territori occupati da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni (’67): Cisgiordania, Alture del Golan, ma anche Gerusalemme Est. Nonostante lo stato di Israele sia stato costretto a smantellare alcuni insediamenti nel corso degli ultimi decenni, continua ancora oggi a portare avanti tali espansioni senza sosta. Questo processo va inoltre contro gli Accordi di Oslo del ’93, in cui veniva specificato che nessuna delle due parti avrebbe dovuto fare alcun passo in grado di cambiare lo status della Cisgiordania e della Striscia di Gaza in attesa di ricevere uno status permanente. La comunità internazionale considera dunque illegali tali insediamenti. A tal proposito mi sembrava interessante riportare un articolo, proposto dal sito del Coordinamento Europeo dei Comitati e delle Associazioni per la Palestina (1), che tratta del ruolo giocato da alcuni enti privati europei a supporto delle violazioni degli insediamenti israeliani.

Imprese europee e insediamenti israeliani

Alcune imprese private europee svolgono un ruolo importante nel supportare, attraverso finanziamenti, le violazioni israeliane del diritto internazionale e quindi gli insediamenti illegali israeliani (2) in tre modi principali:

Fornendo prodotti e servizi che facilitano l’esistenza degli insediamenti illegali. Leggi il seguito di questo post »

di Silvia C. – 9 dicembre 2013

Le numerose raccomandazioni divenute quasi allarmismi di tutte le persone con cui ho parlato prima di partire, mi avevano messo parecchia ansia addosso, soprattutto rispetto ai controlli che ci sarebbero stati in aeroporto una volta arrivata. Il mio primo controllo è avvenuto di Sabato, giorno di riposo, forse è per questo che ho trovato la polizia molto rilassata, ho pensato. In realtà la ragazza che avrebbe dovuto farmi l’interrogatorio che mi aspettavo, era tutt’altro che rilassata: dietro di me aveva notato una valigia incustodita che l’aveva messa in agitazione. Non mi guardava nemmeno in faccia. Dopo tre secondi, con un’aria incomprensibilmente ma visibilmente preoccupata, si è alzata e mi ha detto di andare.

Ero stata soltanto fortunata.

All’impatto ho subito respirato aria di casa, grazie all’accoglienza di Salvo e Valentina. Il primo meeting è stato fatto giusto il giorno dopo, in cui mi è stato spiegato il ruolo del CISS in Palestina, anche attraverso la visione del video su un progetto focalizzato sul supporto psicologico ai bambini di Gaza. Sono bastati quei 15 minuti per capire che ero nel posto giusto al momento giusto. E non perché io mi senta certamente all’altezza o adeguata per un lavoro del genere, ma perché quello che le ludoteche, i giochi, le attività con i bimbi permettono di fare, credo sia formidabile. Il lavoro del cooperante permette alle persone di spendersi per una causa, è uno stipendio benedetto, ho pensato. Alla fine dei propri studi credo sia normale chiedersi cosa si voglia fare da “grandi”, quale sarà il prossimo passo, il prossimo obiettivo da raggiungere. E la risposta che mi sono data, non è mai stata “prendere uno stipendio”, ma tentare di usare le competenze apprese con gli studi per rendermi utile (ovviamente riuscendo ad avere un sostentamento). In quei 15 minuti di video ho capito che la mia presenza qui deve essere e può essere utile a qualcuno. Ed è per questo che ce la metterò tutta. Leggi il seguito di questo post »

di Maria Irene La Pera – stagista CISS 

Si moltiplicano gli appelli sul web per la liberazione immediata di Samer Issawi, 33 anni, di Gerusalemme Est, in sciopero della fame dal 1° agosto 2012, per protestare contro il rifiuto della commissione militare israeliana di spiegare a lui o al suo avvocato le ragioni della sua detenzione. Nonostante le condizioni critiche del detenuto, Israele non sembra mostrare alcun segno di flessibilità.

Arrestato il 7 luglio del 2012 mentre attraversava un posto di blocco militare israeliano che conduce a casa sua a Gerusalemme, Samer Issawi digiuna da oltre 200 giorni per portare avanti la battaglia contro la politica israeliana di detenzione amministrativa, che consente alle autorità di detenere i prigionieri senza processo né accuse provate. Una battaglia già condotta da Khader Adnan, Hana Shalabi e altri palestinesi in carcere.

Martedì 19 febbraio è stato nuovamente ascoltato dai magistrati israeliani, in un’udienza d’emergenza a causa delle sue condizioni di salute, ma la corte ha comunque detto di no al suo rilascio. Leggi il seguito di questo post »

sdc10888da Marco Mondino

La stazione degli autobus di Ramallah è sempre piena di gente, i pullman gialli sono posteggiati uno accanto all’altro, quando arrivi, qualcuno ti chiede subito dove devi andare e ti indica la vettura da prendere, quando tutti i posti sono occupati, si parte.

Questa mattina vado verso Hebron, c’ero già stato due anni fa, con altri tre volontari italiani del Ciss per un progetto di animazione giovanile, adesso vado a ritrovare alcuni ragazzi palestinesi con cui ho lavorato.

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da Marco Mondino

Mentre a Gerusalemme Est nel quartiere di Siliwan si continua a protestare contro la demolizione di 88 case, l’esercito israeliano ha da qualche settimana emesso nuovi ordini di demolizioni ad Aqraba, un piccolo comune vicino Nablus.

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da Marco Mondino

 

Una persona ferma a un checkpoint è un essere sospeso, la sua giornata può andare avanti o tornare indietro, tutto dipende da tanti fattori senza nessuna logica, sono variabili come una giornata d’autunno
Muin Masri

Sono le otto del mattino e da Ramallah sta per partire il piccolo pullman che porta a Gerusalemme, il prezzo del biglietto è sei shekel, poco più di un euro. All’interno ci sono 20 posti, e prima di partire quasi tutti devono essere occupati. Nonostante il tratto sia breve, circa 15 Km, per raggiungere Gerusalemme a volte sono necessarie anche più di due ore a causa del checkpoint di Qalandia.

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