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di Carolina Martin Tirand

“Metrocentro, Santa Tecla…” grida al passaggio, seguo la fila, 25 cents, piede sul primo scalino e mano sulla sbarra perchè non mi lasci per strada. Così inizia l’avventura del mio primo viaggio in autobus a San Salvador. “E’ pericoloso” dicono alcuni. Ma la mia impressione, oltre a quello che si potrebbe pensare essendo El Salvador uno dei paesi più violenti al mondo e così come in tutte le grandi città del mondo, il più grande pericolo non sono le maras, nè i gruppi criminali, ma la velocità che raggiungono questi minibus e la loro capacità di infilarsi negli spazi lasciati dall’intenso traffico in città.

Ben afferrata alla sbarra, gioco all’equilibrista per non cadere sopra la signora seduta accanto a me e sua figlia. Le scolaresche con l’uniforme ridono della mia incapacità di mantenere la posizione verticale ogni volta che il minibus riparte. In realtà più che per me io ho paura per l’impiegato che, con la metà del corpo fuori della porta aperta, va gridando le destinazioni e, con un fischio o un colpo sul veicolo, avvisa l’autista che può ripartire. E così, fra accellerate e fermate inaspettate, inizio a scoprire questa città, molto simile, per quanto dicono, a tante città americane a Nord del Canale di Panama.

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da Giuseppe Cammarata

Madame Zahra è una deliziosa anziana signora di Beirut che parla un ottimo francese.

É nata in Senegal al tempo delle colonie: alcuni suoi fratelli vivono ancora là, ormai cittadini francesi. Suo figlio, invece, cittadino americano, vive e lavora a New York, mentre sua figlia, anch’essa cittadina francese, vive e lavora a Parigi. E madame Zahra la va a trovare due volte l’anno e ne approfitta per fare shopping.

Da quando è tornata a Beirut, una ventina di anni fa, vive in un appartamento agli ultimi due piani di un elegante palazzo della “Beirut bene”. L’ultima volta che l’ho vista mi ha detto che a breve avrebbe traslocato perche casa sua “è diventata molto grande, per me e mio marito, e ci vuole molto tempo e molta fatica per farla pulire”.

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da Giuseppe Cammarata

Bandiere. Tante. Enormi e colorate, o piccole e quasi monocrome. Di carta (manifesti) o svolazzanti.

Non ho mai visto tante bandiere come in questi primi giorni della mia permanenza a Beirut. Non che nelle tante capitali arabe che ho avuto modo di visitare non abbia mai visto bandiere…… (ma poi, Beirut é davvero una capitale araba? O é un non luogo come il Truman Show o Las Vegas?) ma, generalmente, si trattava della bandiera nazionale, o di enormi manifesti con il bel faccione del re o del presidente (naturalmente a vita….) di turno.

Qui no. Nella mia passeggiata serale ad Hamra, ne conto una ventina in pochi passi. Si tratta di bandiere che inneggiano ad un partito politico o ad un’idea facilmente identificabile con un partito politico. Così come noi abbiamo i manifesti di Berlusconi col cielo azzuro dietro di sé, o di Casini con la figlia sulle spalle, o di La Russa in tuta mimetica, qui la campagna elettorale si fa tramite le bandiere.

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da Giuseppe Cammarata 

Ahmad è un giovane bancario di Beirut. Per meglio dire, è il funzionario a cui il CISS si rivolge per le questioni relative ai propri conti correnti attivi in Libano. Parla perfettamente inglese e francese e, a parte lo stile nel vestire abbastanza difficile da condividere, è una persona cortese, disponibile e gradevole.

Da molto tempo Ahmad ha una certa dimestichezza con il personale CISS, me compreso. Questo lo porta ad avere una maggiore confidenza a chiacchierare di temi anche delicati, quale ad esempio la politica, che non condivide con molti.

Prendendo spunto dalla sua cravatta di un colore arancione così acceso (il colore del partito di Aoun) da riflettere la luce come uno specchio, oggi mi sono permesso di chiedergli per quale partito o coalizione avrebbe votato alle prossime elezioni del 7 giugno 2009. Mi risponde dicendo che negli ultimi tempi si trova in difficoltà, dal momento che, essendo lui un collezionista di cravatte ed avendone di tutti i colori (purtroppo!) ogni mattina, per non fare torto a nessuno, ne prende una di un colore diverso da quella del giorni prima e la indossa sperando che nessuno lo scambi per un sostenitore di questo o quel partito.

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Da Giuseppe Cammarata

Arrivo a Beirut alle 4 del pomeriggio di una caldissima domenica di maggio.

Come al solito, la folla che aspetta i parenti in arrivo mi sommerge all’uscita degli arrivi internazionali. E’ una folla piu’ folla del solito, dal momento che svariati aerei sono in arrivo quasi alla stessa ora.

In quello su cui ho viaggiato io, ad esempio, pur partendo da Roma, la stragrande maggioranza dei passeggeri era di origine libanese.

Dico libanesi di origine perche’ durante il check-in a Roma ho avuto modo di occhiare i diversi passaporti in mano ai miei futuri compagni di viaggio: Venezuela, Canada, Brasile, Danimarca, Francia…. Pochissimi di loro avevano un passaporto libanese, pur parlando arabo. La diaspora libanese e’ altrettanto vasta e disseminata di quella palestinese (e siciliana….).

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