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di Luigi Menchini – cooperante CISS in Libano – 12 febbraio 2012

La situazione è migliorata per la maggior parte della città; ma da ieri pomeriggio c’è coprifuoco di fatto nelle zone nord della periferia di Tripoli, quelle oltre El Mina, in particolare di Jebel Mozen, Beddawi e oltre (fino a NBC ed il confine con la Siria) che sono sotto controllo militare da parte di un grosso contingente di fanteria, Commandos, tanks ed artiglieria.

Sporadici scontri ed esplosdioni ancora si sentono anche stamattina (i bollettini parlano di lanci di granate e snipers, franchitiratori e cecchini) – e sono continuati tutta la notte; ma come dicevo, sono lontani, in direzione nord.

Nel quartiere dove sta la casa/ufficio regna una certa (forse eccessiva?) calma e tranquillità; si nota un notevole aumento di personale e mezzi (anche blindati) delle forze armate regolari e delle pattuglie di polizia, ed una diminuzione dei “miliziani” armati usuali.

Di seguito alcuni lanci d’agenzia importanti, direi, per analizzare la situazione e possibili evoluzioni.

After ceasefire – 11 febbraio 2012

di Luigi Menchini – cooperante CISS in Libano – 11 febbraio 2012

Da ieri sera sta infuriando una vera e propria battaglia di guerriglia nelle vie di Tripoli; iniziata nell’area di Jebel Mphsen (roccaforte degli Alawiti favorevoli al regime siriano di Assad), si è estesa verso il centro della città in seguito all’esplosione di un deposito di armi e munizioni della fazione opposta (quella sunnita per intenderci), un container piazzato verso la Università di Al Jina, a poco meno di un chilometro dalla nostra casa/ufficio.

La serie di forti esplosioni è stata chiaramente percepibile da qua, come ovvio.

Nella nottata l’intervento delle forze armate regolari con lo spiegamento di fanteria con l’appoggio di una ventina di blindati pesanti (cingolati, con mitragliatrici, di norma di stanza nell’area dello stadio a poche centinaia di metri dal nostro ufficio, e che sono transitati proprio qua intorno, a vista) aveva prodotto una specie di rallentamento negli scontri a fuoco; ma nella mattinata, intorno alle 9,30 gli scontri sono ripresi con vigore – la città risuona di spari ed esplosioni percepibili da varie direzioni- ma tutte comunque lontane dal centro della città, spostate verso il nord piuttosto.

Tv, radio ed internet continuano a fornire informazioni in tempo praticamente reale sugli eventi.. Leggi il seguito di questo post »

di Rossella Pizzuto e Ivana Kjurkcieva, rispettivamente cooperante e volontaria CISS in Macedonia

In questa sede o almeno in questa occasione non vogliamo ripercorrere i passaggi dei conflitti in Macedonia o descrivere il contesto odierno del paese, ma soltanto passare a voi lettori del blog del CISS alcune brevi notizie che ci hanno colpito negli ultimi giorni qui in Macedonia e che crediamo siano campanelli d’allarme da non sottovalutare.

Crisi parlamentare in Macedonia

Il 28 gennaio, il maggior partito d’opposizione in Macedonia, i socialdemocratici (SDSM), ha deciso di interrompere la partecipazione in Parlamento, dopo il congelamento dei conti bancari del principale canale TV di opposizione A1, di proprietà del magnate dei media Velija Ramkovski, che è al momento in galera. Hanno detto che avevano abbastanza del comportamento autoritario del Primo Ministro Nikola Gruevski e la destra, il VMRO-DPMNE governo.

A1 è stata oggetto di un’indagine penale di grandi dimensioni, insieme a molte altre società possedute o controllate dal magnate dei media Ramkovski.

Secondo alcuni, il giro di vite su A1 sembra essere una risposta a Ramkovski e alla sua presa di posizione forte contro il governo Gruevski; secondo altri il magnate dei media non è proprio un innocente, ma uno abituato a contatti con la malavita organizzata.

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Ciao a tutti,

vi salutiamo da Tunisi e prima di tutto vi diciamo che stiamo bene sia io che rossella.

In questi giorni seppur difficili siamo sempre stati in una condizione di sicurezza e la situazione sembra che vada verso un graduale miglioramento. Seguono due righe che non vogliono essere né la cronaca degli avvenimenti politici e sociali di questi giorni, né vuole aggiungersi alle informazioni di stampo giornalistico di cui sono pieni telegiornali e giornali italiani.

Tunisi 16.01.2011

Saccheggi e sparatorie, sembra questo l’unico messaggio che passa ai media, ma per le strade di Tunisi c’è tanta voglia di tornare alla normalità.

Non è insolito ritrovare i negozi riaperti la mattina e la gente seduta ai caffè.

Come spesso accade ad ogni caduta di regime segue lo smembramento della struttura che controllava la popolazione e garantiva la tenuta del potere. Molti episodi della cronaca delle strade di Tunisi e del resto del paese sono “colpi di coda” di un sistema morente.

A partire da ieri 15 gennaio molte delle informazioni pubblicate sui social network o date per episodi veritieri altro non erano che il tentativo da parte delle “milizie” RCD (Rassemblement Constitutionnel Dèmocratique) di far passare la situazione attuale come ingestibile e piombata nel caos più estremo in mancanza di un leader capace di gestire la popolazione in rivolta. A Tunisi, le stesse milizie girano in auto a noleggio sparando senza obiettivi definiti sui passanti con l’intento di seminare il panico. Ma gli abitanti hanno subito reagito costituendosi in comitati di Quartiere con il compito di proteggere case e persone e di appoggiare l’esercito nel compito di catturare le milizie. Ad ogni incrocio del quartiere dove ci troviamo sono sorte barricate sorvegliate da giovani, meno giovani e in alcuni orari anche donne, rinnovando ancora una volta il sentimento di unione e mutualità.

Osserviamo con ammirazione un popolo unito, forte e compatto nel perseguire il bene comune, nel portare avanti un ideale che gli è costato il sangue di un centinaio di compatrioti, ma che ha il profumo della libertà da una dittatura di oltre 23 anni di corruzione. La gente collabora con l’esercito e si fa forza vicendevolmente per ostacolare chi vorrebbe instillare la paura. Una società civile che sa quanto la libertà abbia un prezzo!

Un saluto da brando e rossella

50 è il bilancio delle VITTIME in questi ultimi giorni in TUNISIA. Cittadini che manifestano contro il governo per l’aumento della disoccupazione giovanile, il carovita, la violenza e i soprusi subiti. La scintilla è scattata il 17 dicembre 2010 quando un ambulante di 26 anni si è cosparso di benzina e si è dato fuoco in piazza a Sidi Bouzid. E’ morto tre settimane dopo. I poliziotti avevano confiscato arbitrariamente la sua carretta di frutta e verdura; da tempo subiva i soprusi e il disprezzo dei poliziotti. Da quel giorno la popolazione è scesa in piazza a manifestare per il rispetto dei diritti umani.

In ALGERIA è stato il brusco aumento dei prezzi dei beni di prima necessità a scatenare le proteste. I disordini sono stati molto violenti ad Algeri, ma presto si sono estesi in altre città del Paese. I morti sembrano essere tre: un ragazzo ucciso da un proiettile durante una manifestazione ad Ain Lahdjel, un secondo manifestante deceduto in seguito alle ferite riportate negli scontri con la polizia ed un uomo di 32 anni morto, anche lui, manifestando sotto il fuoco della polizia.

In entrambi i paesi è in pericolo la LIBERTA’ DI INFORMAZIONE e parecchia è la CENSURA sui reali avvenimenti in atto, solo attraverso i canali web circolano le notizie.

Qui di seguito riportiamo e chiediamo il vostro sostegno nel diffondere il più possibile il comunicato di denuncia dell’Associazione tunisina delle Donne Democratiche.

comunicato di denuncia dell’Associazione tunisina delle Donne Democratiche

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