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Caro lettore, ecco la mia esperienza.

Spero che dopo averti raccontato la mia vita in Italia, di come mi sto trovando e dell’esperienza del viaggio fin qui vissuta, comprenderai la situazione in cui mi trovavo e mi trovo a vivere.

In breve, dopo essere scappato dai problemi esistenti nella mia città Bauiku in Ghana, a piedi attraverso la boscaglia, ho raggiunto un villaggio in Burkina Faso, un paese che confina col Ghana settentrionale. Grazie a Dio per fortuna avevo sufficienti soldi con me.

Dal Borkina Faso, attraverso il Niger, con l’automobile abbiamo attraversato per una quindicina di giorni lungo il deserto la Nigeria, l’Algeria fino in Libia. Eravamo una ventina di persone in un piccolo 4×4 Toyota. Purtroppo quasi tutto il tragitto era invaso da rapinatori armati che abitano in montagna. Tutto questo è pericolosissimo. Malaguratamente abbiamo incontrato tre gruppi di rapinatori e inoltre l’automobile ha subito un guasto, oltre ad incontrare animali feroci ed un clima arido arrivando ad esaurire il cibo e l’acqua. Leggi il seguito di questo post »

di Marta Bellingreri

Quattro fogli appesi al muro. Ecco quel che resta al Consolato tunisino di Roma dei migranti tunisini dispersi tra febbraio e marzo. Dispersi in mare perché non sono mai arrivati? Forse in Francia, perchè in Italia non sono registrati e sono passati direttamente in Europa? Forse in giro altrove senza aver dato più notizie? E le famiglie hanno inviato i nomi delle persone che cercavano allora, da aprile in poi, e che alcuni cercano ancora. Nessun dato ufficiale di ritrovamenti né tantomeno ricerche fa seguito a quegli A4 al muro.

Le date segnate sulla lista sono le più varie, in quei due mesi di arrivi continui: storie di persone non più rintracciabili; la lista è abbastanza vecchia, e non ci sono aggiornamenti, sul muro buio del consolato; così che forse guardando quattro pagine di nomi si può sperare che qualcuno abbia chiamato per dire di essere arrivato. Ma le belle notizie non trovano spazio su quelle pareti.

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Riportiamo l’appello di don Mussie Zerai, un religioso che da anni si batte per la libertà in Eritrea e per i rifugiati che fuggono da un regime che ha militarizzato l’intera nazione.

Ore 10.36, arriva una telefonata dagli ostaggi eritrei nel Sinai. Raccontano le quattro donne che stamattina hanno dovuto subire per l’ennesima volta violenze sessuali dal branco dei predoni, ripetutamente, perché non pagano il riscatto richiesto dai trafficanti. Una delle donne incinte sta molto male dopo che è stata picchiata dai trafficanti. Tutto questo accadeva questa mattina, tutto questo sta accadendo mentre il mondo “civile” se ne sta a guardare, distratto da altre questioni, chi per indifferenza verso questo dramma, chi per non irritare governi di quella regione, sta di fatto che c’è un sostanziale silenzio, nessuno sta facendo nulla per debellare questa piaga dei nostri giorni, non si vede nessun risultato, tranne la liberazione degli ostaggi che hanno pagato il riscatto.

Ancora oggi il crimine degli schiavisti vince, grazie al silenzio complice dei potenti della terra.

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Riceviamo da Silenzio Assordante – Voci, denunce e testimonianze delle lotte antirazziste fuori e dentro i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) per migranti – e pubblichiamo una lettera dei reclusi del Cie di Gradisca D’Isonzo (Gorizia), che sono in sciopero della fame contro il prolungamento della reclusione fino a sei mesi e contro le loro condizioni disumane di vita.

Noi stiamo scioperando perché il trattamento è carcerario, abbiamo soltanto due ore d’aria al giorno, una al mattino e una la sera, siamo tutti rinchiusi qui dentro, non possiamo uscire. Ci sono tre minorenni qui dentro, sono tunisini e hanno sedici anni, ci chiediamo come mai li hanno messi qui se sono minorenni?

Il cibo fa schifo, non si può mangiare, ci sono pezzi di unghie, capelli, insetti. Siamo abbandonati, nessuno si interessa di noi, siamo in condizioni disumane.

La polizia spesso entra e picchia. Circa tre mesi fa con una manganellata hanno fatto saltare un occhio ad un ragazzo, poi l’hanno rilasciato perché stava male e non volevano casini, e quando è uscito, senza documenti non poteva più fare nulla contro chi gli aveva fatto perdere l’occhio.
Ci trattano come delle bestie.

Alcuni operatori [della cooperativa Connecting People che gestisce il Centro, n.d.r.] usano delle prepotenze, ci trattano male, ci provocano, ci insultano per aspettare la nostra reazione, così poi sperano di mandarci in galera, tanto danno sempre ragione a loro.

C’è un ragazzo in isolamento che ha mangiato le sue feci. L’hanno portato in ospedale e l’hanno riportato dentro. È da questa mattina che lo sentiamo urlare, nessuno è andato a vederlo, se non un operatore che l’ha trattato in malo modo.


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La testimonianza di Giorgio Bisagna, coordinatore del Consiglio Italiano Rifugiati (CIR)

Articolo su ‘La Sicilia’ di sabato 21 Agosto 2010

Una vecchia villa a due piani con le grate alle finestre. All’interno un centinaio di persone. Ne potrebbe contenere anche di più. Sono tutti extracomunitari clandestini, che, a scapito dei loro sogni, attendono il rimpatrio. Così appare il Centro di identificazione e di espulsione «Serraino Vulpitta» di Trapani, allestito in una struttura non idonea, tanto che i diversi tentativi di fuga non sorprendono più.

L’ultimo si è concluso con l’arresto di sette extracomunitari. I clandestini che avevano tentato la fuga erano una trentina, di cui due sono rimasti feriti.

«L’accaduto ricorda un episodio più grave avvenuto nel 1999. Fatti del genere non stupiscono più. Ma la storia non insegna nulla». Questo il primo commento dell’avvocato Giorgio Bisagna, coordinatore regionale del Consiglio italiano rifugiati (Cir), specializzato nelle tematiche dei diritti umani. «Nel ’99 – ha ripreso Bisagna – chiuse nella stessa stanza sei persone morirono bruciate e due rimasero gravemente ustionate. L’incendio era stato appiccato, per protesta, da un extracomunitario dopo un tentativo di fuga fallito». Come si concluse la vicenda? «Dal punto di vista giudiziario-penale – spiega Bisagna – il prefetto di Trapani, responsabile del Centro, ai sensi della vigente normativa, fu assolto, ma in sede civile il ministero dell’Interno è stato recentemente condannato al pagamento di una cifra significativa come risarcimento danni in favore dei due soggetti gravemente ustionati».

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Da Francesca Giolivo, Responsabile Ciss Migranti
 

“I migranti sono vittime di una cospirazione tra le due rive del Mediterraneo. L’Europa vede soltanto un problema di sicurezza, nessuno vuole parlare dei loro diritti”. (Jumaa Atigha avvocato di Tripoli)

La Ong CISS/Cooperazione Internazionale Sud Sud condanna con fermezza l’esplosione di razzismo istituzionale che ormai infuria nel nostro paese ed è solidale con tutti i migranti e richiedenti asilo che hanno subito e subiscono i continui attacchi e le insostenibili prevaricazioni da parte del nostro governo e di una Europa ormai silente.

La deportazione in Libia da parte della marina miliare italiana dei barconi di profughi fermati nemmeno in acque internazionali, ma in acque territoriali, è un fatto senza precedenti. Una vera e propria compravendita di esseri umani con Tripoli senza neanche la valutazione del loro reale status.

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