di Antonio Mangia, Salvo Maraventano e Giovanna Messina

“Mettiti In Gioco” è il progetto di formazione e animazione sociale che arriva in Congo dopo le attività proposte lo scorso anno in Palestina.  Il team quest’anno ha visto la conferma di Salvo e Giovanna e la new entry del logista Antonio.

Kinshasa è caotica e disorganizzata, da l’impressione di essere un’enorme periferia e anche il centro sembra una periferia. In questo periodo dell’anno il sole resta nascosto dietro le nuvole e la temperatura è mite, assomiglia alla nostra primavera. Le strade sono piene di gente che vende qualsiasi cosa, dal fufù preparato con farina di manioca che viene considerato il piatto nazionale, a piccoli spiedini di carne, passando per sigarette e magliette cinesi, senza dimenticare gli immancabili cambisti, pieni di Dollari e Franchi. Il sistema stradale è praticamente inesistente o in stato di abbandono. Il traffico è un buon modello di anarchia e ai bordi delle strade la gente corre trainando carriole arrugginite e stracariche di ogni cosa.

In piena città ci sono campi coltivati e fumanti: concimano il terreno bruciandoci sopra la spazzatura! Questo rende l’aria ancora più pesante, un misto di polvere e plastica bruciata e nero scarico di camion, veramente irrespirabile.

Per uscire dalla città, ci vogliono un paio d’ore di traffico. Il paesaggio cambia: non più tetti di eternit o palazzi fatiscenti e brulichio di gente e di auto, ma foresta e villaggi in cui si respira subito un atmosfera diversa, più vivibile, fatta di piccole cose che riacquistano il proprio valore; anche la vita procede in modo più rilassato.

Le nostre attività si svolgono in due Centri di accoglienza per bambini di strada che fanno parte della rete di “REEJER”, una ONG locale che mette in relazione e coordina il lavoro dei vari centri della città.

I due centri si trovano in due quartieri vicini ma il loro contesto è molto diverso. Uno è proprio in un classico ambiente cittadino di periferia, mentre l’altro si trova in quella che sembra una parentesi in città: un vero e proprio villaggio. Stradine di sabbia in mezzo ad alberi e bamboo, case con cortili aperti. Le auto si fermano in mezzo alla piazza principale e poco oltre, perchè le stradine sono… a misura di persona.

Entrambi i centri accolgono sia bambini che bambine, di età che variano da qualche anno fino ai 17 anni.
In entrambi i centri i nostri laboratori sono rivolti sia ai bambini che agli animatori (che a noi stessi), per i quali sono previsti dei momenti di approfondimento con il formatore ludico di REEJER.
Gli operatori dei due centri si incontreranno in un ultimo giorno di formazione.
Ciascuno dei tre gruppi di lavoro é formato da 20 bambini/e e 4 operatori, per un totale di 60 bambini e 12 operatori. Venti di questi bambini hanno tra i 14 e i 17 anni, gli altri tra gli 8 e i 13.

Dopo qualche giorno per renderci conto di “questo Congo”, si comincia.

L’accoglienza nei centri è stata emozionante, immaginate il calore dei bambini, emozionati e timidi alcuni, curiosi, espansivi, esplosivi e urlanti altri.

Prima siamo arrivati a CHERO. Il centro è composto da diversi ambienti, ognuno adibito ad una specifica attività: dormitori, aule, cucina, ufficio e un atrio dove si svolgono le nostre attività, quando il caldo lo permette.

L’atmosfera che si respira al centro sembra serena e la responsabile Madame Moyombo trasmette entusiasmo all’intero staff di animatori, ma soprattutto a noi.. Ci corre incontro per abbracciarci, l’accoglienza è bellissima.
Dopo un pò di canzoni di benvenuto e di balli, ci disponiamo in cerchio ed una ragazzina di 12 anni si fa avanti con un cartone pieno di tante cose. Si siede al centro e comincia a tirare fuori dei piccoli oggetti: scatole di medicinali, pezzi di latta, pezzi di stoffa, bamboline evidentemente artigianali, pezzi di Barbie…e comincia a raccontare una storia, contemporaneamente un’operatrice traduce.
Dopo pochi minuti capiamo che la storia è quella del centro… che emozione … una storia tristissima. (Tra parentesi, la bambina ha prima presentato una classica storia di come un bambino finisce per strada: il papà è cattivo, si beve tutti i soldi e picchia la madre, la nonna avvelena il padre, i bambini finiscono in strada per aiutare la madre, muore la nonna, forse muore pure la madre non si capisce bene.) Raccontato da una bimba di 12 anni fa impressione.

Salvo e Giovanna si esibiscono in un piccolo spettacolino di giocoleria comico, che diverte i bambini, mentre Antonio riprende con la telecamera o fa le foto.

Poco dopo si parte per il Centro AASD.

Il Centro AASD ha una struttura più complessa, con antenne presenti in varie parti del paese. Le attività sono aperte anche ai ragazzi che non abitano il centro ma che seguono i corsi scolastici o di avviamento a lavoro. In più il centro ospita una piccola infermeria di “Médecins du Monde”.

Il primo giorno è un po diverso da quello di CHERO. L’accoglienza è meno studiata, per usare un eufemismo. I bambini, cresciuti in un ambiente più cittadino, ci osservano senza sbilanciarsi troppo. Ci vengono mostrati dei giochi di gruppo che ci angosciano un pò: bambini bendati devono recuperare il maggior numero di scarpe dello stesso paio, toccandole solo con i piedi. Non sarebbe nulla di male se questi non fossero bambini che ne hanno passate chissà quante. Uno dei partecipanti era quasi terrorizzato, a causa del bendaggio.
La prima giornata è stata bellissima, ma spossante.

Non possiamo non citare l’accoglienza di Barbara, Irene e Chiara: ci siamo trovati accolti come in famiglia. Un bacio a tutte loro!

Dal secondo giorno abbiamo cominciato le attività.
Salvo ha voluto essere svegliato con le sue foto ricordo e Bob Marley,
Antonio ha mangiato pane e marmellata a palate,
Giovanna ha giocato con quel demonietto di Alfredo, un bimbo nostro vicino.

A CHERO abbiamo trovato un’accoglienza festante e gioiosa: alcuni bambini ci aspettavano fuori dal centro, altri arrivavano in ritardo, correndo per stringerci le mani. Abbiamo parlato con i bambini e con gli operatori di come avevamo pensato il progetto: obiettivi, attività, “strategia”.
Vogliamo che il percorso sia chiaro, che le persone con le quali lavoriamo possano dare il massimo contributo a questa esperienza, possano prendere e dare il massimo.

Costruzione e utilizzo palline da giocoleria, è stata un’attività fantastica per cominciare.

Cominci ridendo, giocando con le palline, solo divertente! Certe volte gli educatori ci sembrano spaesati (noi, invece..), ma si divertono pure loro.

Uno dei momenti più belli di questa prima giornata, quelli che rimangono veramente impressi, è stata la preghiera prima del pranzo. Noi mangiamo in una stanzetta separata (per avere un pò di respiro: sì sì, belli i bambini, simpatici e dolcissimi, ma un pò di pausa ci vuole), ma la preghiera il primo giorno la facciamo con loro. (Dico il primo giorno perché evidentemente si accorgono che non preghiamo, e quindi dal secondo giorno ci fanno lavare le mani per primi, e poi spariamo nella stanzetta.)
Dicevamo che è stato emozionante il momento della preghiera: tutti quei bimbi mal vestiti, con le pance piene di vermi, con le loro storie spesso tragiche, che pregavano con un’intensità grande, cavolo, grande. Gli occhi chiusi che sembrano spremuti, tutti protesi in avanti, a ringraziare Dio per quel pasto. In francese, quindi senza capirne un’acca, ma con tutta l’intensità con la quale un bambino sa pregare, come se esprimessero un desiderio davanti un genio magico…

Nell’altro centro, AASD, non si fanno preghiere, ma non manca un’atmosfera di religiosità al momento della merenda (in questo centro i bambini mangiano alle 17.00 e noi andiamo prima. Per questo si fa solo una merenda con bibita e biscotti). Da che si gioca sfrenati, a che la parola “pausa” spegne le escandescenze dei bambini, e li vedi improvvisamente sistemati sulle sedie, in attesa composta.

È da questo giorno che compare un ragazzo sulla sedia a rotelle, Lumbu (15 anni), che non fa parte del gruppo dei 20, ma che sta in un angolo del cortile a guardarci.
È un pò quello che succede anche nell’altro centro: nella stanza nella quale svolgiamo le attività vi sono delle “finestre”, come delle grate, attraverso le quali ci sono dei bambini che guardano tutto quello che facciamo. Accadrà anche che tra dentro e fuori collaborino, per esempio per fare le trecce: una ragazzina la tiene da fuori, e quella dentro intreccia.
Decidiamo di provare ad includerlo nel gruppo.
Non è stato facile farlo partecipare veramente: inizialmente i ragazzi che gli stavano attorno, in genere due ragazzi più grandi, scoraggiavano sia me che lui. Mi hanno detto più volte che lui non era in grado di fare anche lo sforzo più semplice, visto che è poliomielitico. Quando gli ho dato da costruire la pallina per la giocoleria, dopo pochi secondi gli è stata tolta. È vero che non riusciva a compiere alcune azioni banali, come allargare un palloncino…inizialmente. A poco a poco è riuscito a fare la pallina, ma non da solo e con enormi sforzi. Sembrava aver perso manualità, ma a causa di inattività più che a causa della malattia. E anche a causa del fatto che tutti intorno stavano a togliergli le cose dalle mani “tanto non lo sa fare”.
Il giorno dopo è stato davvero sconcertante e doloroso vedere con quanta difficoltà ha cercato di fare delle trecce, non sapevo se insistendo lo avrei solo frustrato, o se aveva bisogno di fiducia.
Tra l’altro lui non poteva partecipare alla maggior parte delle attività, che si svolgevano in piedi, saltando e correndo. È stato quasi naturale affidargli a questo punto la macchinetta fotografica. Con la quale si è stampato un sorriso in faccia, dacché sta macchinetta non gliela abbiamo tolta più, o quasi.
Pure se gli inizi sono stati difficili. Devo ammettere che qualche volta ho pensato ad un ritardo mentale, non sapevo che fare: se spingerlo a migliorare e a non abbandonare, come tendeva a fare, sottoponendolo a stress, o lasciare che arrivasse da solo sino dove poteva arrivare, che nello specifico quel giorno erano delle foto (40) fatte al pavimento.
Poi invece con nostra grande gioia, man mano che passavano i giorni, con delle leggere “spinte” e molta presenza, ha preso sicurezza ed ha cominciato a fare foto sempre migliori, sino a farne di veramente belle. Ha partecipato nell’arco del percorso anche ad altre attività, come la pittura e il tappeto di stracci.
Già da questo giorno i ragazzi del centro AASD sono stati molto più accoglienti e aperti, si sono divertiti tantissimo con le palline, dimostrando più abilità rispetto all’altro centro.

Il terzo giorno è stato quello della costruzione del tappeto di stracci.

È un’attività che abbiamo scelto nell’ottica dello scambio: noi insegniamo un gioco siciliano a loro e loro ne insegnano uno congolese a noi. I bambini ovviamente hanno umiliato le nostre capacità manuali, sfornando trecce ad un ritmo vertiginoso.

È stato bello vedere questi bimbi seduti tranquilli a fare trecce, cucire, chiacchierare tranquilli.
Ogni tanto Antonio ne prende uno per fargli sperimentare la macchina fotografica, Salvo si siede con uno dei bimbi e fa una sua treccia, Giovanna pure.
Da questo giorno la strada per arrivare da CHERO è definitivamente informata dei nostri orari, e veniamo accompagnati da cori di “Mundele!Mundele!” sin dentro il centro. Uno degli educatori, Bosco è bravissimo ad animare i bambini e ci spreme tra balli, canzoni e giochi vari, veramente una bella ginnastica mattutina.
Questa sarà una costante dei nostri giorni a CHERO: balli sfrenati e canzoni a squarciagola. Il dialogo con gli educatori è sempre tranquillo e con un’educatrice, Florance, ci capiamo particolarmente bene.
Nell’altro centro, AASD, gli operatori sono diversi. Ci capiamo bene con loro, ma da subito si creano dei momenti che non avremmo voluto vivere: ci hanno chiesto un aumento delle spese di trasporto, e spesso sono stati un pò assenti durante le attività. Nei giorni successivi, certe volte siamo arrivati ad essere veramente innervositi da certi comportamenti (una dormiva durante le attività) o certi atteggiamenti, che magari erano comprensibili, ogni tanto, ma accostati al nostro stress e alla stanchezza di certe giornate ci rendevano tesi. Temo che questa tensione sia trapelata, qualche volta, in tutti e due i centri.

Il quarto giorno era prevista l’attività di costruzione di giocattoli congolesi.
Ci hanno sommerso di giocattoli: la prima cosa che hanno mostrato è stata la costruzione di una pistola fatta di piccole canne di bambù, unite con dei rametti.

E poi:
Mitragliatrici di vari modelli, fatto con la tecnica di sopra.
Macchinine fatte con le scatole di sardine e tappi di bottiglia.
Macchinine fatte con buste di tetra pack (carrozzeria) e scatolette tipo di tonno (pneumatici).

Macchinine fatte di fil di ferro (estratto da un vecchio pneumatico bucato bruciandolo).
Macchinine fatte unendo una miriade di bastoncini tramite pezzi di ciabatte di gomma rotte.
Bambole fatte di spugna e straccetti di stoffe varie.
Tavolini, sedie, pentole fatte con lattine e scatolame vario, o con pezzi di materiali isolante tipo spugna.
Un pozzo giocattolo, fatto con una scatola, un bastoncino, filo e un secchiellino
Tamburi, con scatole per latte in polvere e camere d’aria inutilizzabili.
Pallone da calcio, con sacchetti di plastica e fili da imballaggio, o stracci intrecciati.
“Il gruppo elettrogeno”, fatto con una bottiglietta all’interno della quale si crea una specie di yo-yo che fa rumore.
Trombette.
Dama, fatta con tavoletta di legno e tappi di bottiglia.
Una casetta per le bambole fatta di cartone.
Jeep, aeroplani, treni, barchette, tutte fatte con la plastica di secchi o bidoni rotti, attaccati tra loro squagliandoli un pò con un bastoncino di ferro arroventato nel carbone.

In realtà tutti questi giocattoli sono stati realizzati a poco a poco, nel corso di vari giorni, e nei due centri.
Gli ultimi giocattoli che ho elencato (la jeep etc.) sono stati realizzati da un ragazzo che non faceva parte dei gruppi. Ci è stato proposto dal centro AASD, in quanto particolarmente bravo a costruire giocattoli, in più con questa tecnica particolare.
È un ragazzo difficile, un ex bambino soldato, Jean Claude, 15 anni.
È bello vederlo lavorare sui giocattoli: cambia, anche se ogni tanto esce quella tensione che sembra non abbandonarlo mai, attraverso movimenti della bocca, scatti delle mani…
Abbiamo voluto dare ad ogni ragazzo un suo momento durante il quale potesse mostrare agli altri come costruire un giocattolo, a sua scelta. È stato bello, ognuno di essi ha potuto sentirsi al centro dell’attenzione, anche se per poco. A lui abbiamo concesso più tempo che agli altri, sia perché non partecipava alle altre attività (tranne a qualcuna di animazione e di pittura), sia perché bravissimo. Lui stava spesso in un angolo dello spazio nel quale svolgevamo le attività, con un tavolino e i suoi materiali.

E poi venne il giorno di decorazione del centro.
Abbellimento e miglioramento delle condizioni di vivibilità dei centri. Per migliorare la vivibilità, abbiamo pensato di far decorare il centro direttamente ai bambini, in maniera da dare quel senso di appartenenza difficile da ottenere per dei bambini di/in strada. Un modo di migliorare la vivibilità del centro.
I bambini ovviamente erano entusiasti: vedere mischiare i colori, rulli, pennelli….la pittura è stata un’attività entusiasmante per tutti (anche per noi!) anche se a CHERO ha portato alle prime tensioni. Un Educatore infatti si è imposto sul suo modo di usare il rullo, sprecando molto colore. E voleva dipingere tutto il tempo, non lasciando spazio ai bambini. Insomma, si è creata un pò di tensione, ci faceva innervosire l’atteggiamento. Noi eravamo già stanchi dopo “soli” 4 giorni di lavoro, ma proprio stanchi. Non era solo il lavoro nei centri, ma tutto ciò che c’è attorno. La strada, tornare a casa e fare i conti, preparare carte materiali e soldi per il giorno dopo, uccidere scarafaggi (Antonio); pensare alle attività del giorno passato e di quello futuro, lavorare con Irene o Barbara, promettere di fare il report (Salvo); preparare materiali o attività per il giorno dopo, sopportare Antonio e Salvo (Giovanna). In più tutti insieme supportavamo la nostra vicina di casa, che ci mollava regolarmente il bambino di 2 anni. Una simpatica segheria ci teneva compagnia la notte. Ma a parte le scuse, in sostanza, eravamo tutti un pò nervosi, e forse abbiamo lasciato trapelarlo un pò. Infine abbiamo deciso di parlarne con loro. Cosa che peraltro abbiamo fatto ogni giorno, 10-15 minuti alla fine della giornata. E tutto è filato liscio!
Tornando alla pittura abbiamo prolungato l’attività coinvolgendo una pittrice congolese, che ci doveva aiutare a mettere su un piccolo laboratorio di pittura. E quindi ci siamo rivisti un altro giorno con i bambini per passare ala decorazione vera e propria (il primo giorno abbiamo tinteggiato le pareti): i disegni. Con questa ragazza ci siamo veramente stressati: sembrava con la testa sulle nuvole, non ha rispettato quello che avevamo concordato di fare, non gestiva i bambini, si lamentava della mancanza di pennelli, ha perfino gonfiato il prezzo dei colori che le abbiamo fatto comprare… ci siamo proprio esauriti appresso a questa!

Un altra attività è stata la creazione di un piccolo spettacolino, con l’aiuto di un attore di teatro, sempre congolese. Con lui è andata bene, per noi era quasi riposo, visto che lui con i bambini ci sa fare e bene pure. Peccato che ci ha piantato sul più bello, deludendoci molto. Questi momenti ci facevano molto riflettere sui relativi modi di pensare. L’impressione è che venga data un’importanza molto grande al presente, al “subito”, tralasciando un’ottica di lungo periodo. Infatti molti commercianti preferivano tentare palesemente e ripetutamente di fregarci gonfiando i prezzi, o svuotando i sacchi di vernice prima di consegnarcela, piuttosto che instaurare un rapporto commerciale tranquillo che gli avrebbe permesso di guadagnare di più. Queste cose, vissute ogni giorno, erano esasperanti. Certe volte sono arrivato a pensare: ma chi me lo fa fare di tentare di costruire qualcosa con qualcuno, quando quel qualcuno non fa altro che provare a rubarmi tutto ciò che può?? poi pensi che non sono tutti così, ovviamente, che è molto più facile notare una mela marcia che una persona per bene, che ci sono tante Mama Moyombo, che non sta a te giudicare un bel niente, che sei là anche per questo motivo, e varie altre cose.

Tutte queste attività hanno portato alla creazione di una festa, che aveva lo scopo di sensibilizzare il quartiere e permettere ai bambini di mostrare ciò che sanno fare alla gente.
La preparazione delle feste ha richiesto un bello sforzo.
Nella prima che abbiamo fatto, in uno dei centri, AASD, la messa in scena dello spettacolino ha richiesto molto tempo. I bambini avevano anche preparato molti giocattoli da esporre. Anche nell’organizzazione della festa si crearono tensioni: avevamo idee di festa diverse, com’è naturale. Con un pò di incontri e riunioni, nelle quali sono stati fondamentali gli interventi di Irene e del direttore del centro, la questione si è risolta. E la festa è andata benissimo.
Autorità, discorsi, ma anche canti, animazione, lo spettacolino e la mostra, le bibite, i giochi…insomma una FESTA. Ma una festa con addio. Alla fine della festa, quando tutti erano andati via, e siamo rimasti con i bambini, ecco il momento che doveva arrivare. Salutare per sempre questi bambini. Gli educatori non avevano avvertito i bambini che quella sarebbe stato l’ultimo giorno che noi andavamo là. Ma alcuni lo avevano capito. E giù lacrime, discorsi di ringraziamento (un ragazzo che si era tenuto sempre defilato ha fatto un bel discorso a nome di tutti, ci ha lasciato stupiti e commossi), abbracci…

Per fortuna quel giorno era un venerdì, cosa che ci ha dato il tempo di respirare, in vista dell’ultima parte del programma: il lavoro con il terzo gruppo di ragazzi, tutto il giorno nello stesso centro…
Quel sabato siamo usciti e ci siamo divertiti. Abbiamo conosciuto un pò di espatriati italiani, siamo andati a ballare… domenica relax.

Le attività svolte con quel gruppo sono state le stesse svolte con gli altri, un pò calibrate per andare incontro alle esigenze e capacità di ragazzi più grandi (13-18 anni). Per esempio le palline sono state fatte con la stoffa piuttosto che con i palloncini. Poi abbiamo aggiunto come attività di miglioramento delle condizioni di vita del centro la costruzione di un tendone che potesse riparare dal sole durante le feste. Lo hanno cucito i ragazzi con dei sacchi di farina usati.
La festa in questo centro, CHERO, la abbiamo fatta unica per i due gruppi. È stata una grande festa. I momenti indimenticabili sono diversi, qua ne riporteremo un qualcuno: prima della festa vera e propria, durante i preparativi, due bambini (Julma e Isaac) ci hanno avvicinato, e ci hanno regalato le loro uniche biglie…che momento…
Poi durante la festa abbiamo portato tutti i bambini fuori dal centro. La strada sino alla piazza è stata percorsa a suon di canti e ritornelli, un fiume di bambini cantanti (non erano solo quelli che hanno seguito il percorso, ma tutti quelli che ruotano attorno al centro). Arriviamo in piazza, con non so quanti bambini, e formiamo un cerchio enorme, e da lì partono i vari giochi e balli di animazione che abbiamo fatto tutti i giorni nel centro. Dopo un pò partiamo al suon di una canzoncina bellissima, che è composta da due parti: una lenta, nella quale ci si muove lentamente, ed una veloce, dove si corre. Abbiamo fatto il giro del quartiere, con circa…non so, 70-80 bambini, forse più, correndo e cantando, con i bambini che entravano nei cortili a chiamare gli altri… che dire… ancora quando lo racconto mi vengono i brividi.
Altri momenti: la bimba del primo giorno, che aveva raccontato la storia del centro, la racconta davanti a tutti: autorità, decine di curiosi. Balliamo con varie persone.
Per l’arrivo di Barbara Scettri (capo progetto del CISS in Congo) e di Remy (membro dell’associazione REJEER che mette in rete le attività di più di 120 centri per bambini abbandonati) riportiamo i bambini in piazza. Anche se questa volta è meno esplosivo, è sempre una meraviglia pensare che tutti questi bambini hanno in quel momento l’occasione di mostrarsi al massimo della loro bambineria, cosa che da noi è scontata, ma la non lo è.

Tante altre sono le cose da raccontare, ma vi vogliamo bene e quindi niente, non ve le raccontiamo. Per questa volta.

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