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*di Giovanni Vinti

Strade sterrate in cui fango rifiuti e polvere si mescolano, bimbi che sbucano da tutte le parti scalzi o in ciabatte con magliette colorate o a petto nudo, galline asini e maiali che ti sfiorano mentre in due o in tre sulla moto percorriamo le stradine di questa (se si escludono le poche vie del centro) baraccopoli di oltre 60mila abitanti: ecco come ricordo Ouanaminthe, un anno dopo. E mi sorride il cuore, mentre una lacrima lo attraversa. Questo centro abitato del Paese più povero dell’emisfero occidentale, cioè Haiti, è sconosciuto ai più; e del resto, quando se ne è mai parlato in tv..? Haiti è diventata tristemente nota alle cronache in seguito al terribile terremoto del 2010 che causò oltre 200mila vittime, e che fu seguito poco dopo da un’epidemia di colera divenuta da quel momento endemica nell’isola. Quello fu l’anno del colpo di grazia, ma la situazione era difficile già da diversi decenni..

 

Se si va indietro di qualche secolo, bisogna tener presente che l’isola fu “scoperta” da Cristoforo Colombo nel 1492 e battezzata Hispaniola. I nativi furono decimati nel giro di qualche decennio da schiavitù e nuove malattie e a quel punto vennero sostituiti da una nuova “manovalanza”, gli schiavi deportati dall’Africa, antenati degli attuali haitiani. Nel frattempo metà dell’isola divenne di dominio spagnolo e battezzata Repubblica Dominicana, mentre la metà di cui avevo iniziato a parlare, Haiti, di dominio francese. E fin qui, una delle tante storie del colonialismo europeo, senonché a fine Settecento mentre in Francia si assisteva alla Rivoluzione Francese, ad Haiti i 500mila schiavi neri, circa 10 volte più dei loro padroni bianchi, si ribellavano e dopo alcuni anni impadronivano dell’isola e della loro libertà, dando origine alla prima repubblica fondata da ex schiavi. Da quel momento la vita non fu comunque una passeggiata (quando mai!), dato che dall’estero vennero tagliati tutti i canali commerciali con Haiti e la Francia post-rivoluzionaria concesse l’indipendenza ma in cambio di un “indennizzo annuo” mostruosamente elevato. Fino al 1900 la situazione si mantenne relativamente stabile, ma poi nel 1914 mentre in Europa si combatteva la guerra gli Stati Uniti occupavano militarmente Haiti per 20 anni imponendo le loro scelte politiche. Dopo la seconda guerra mondiale si succedettero 3 dittatori locali, fino al termine degli anni ’80. A quel punto, il 1991 fu il momento del primo presidente liberamente eletto ad Haiti, Jean-Bertrand Aristide, un prete di quartiere che sembrava voler davvero stare dalla parte dei poveri (la maggior parte) invece che delle élite economiche, la cui elezione spiazzò un po’ tutti, a cui fece seguito, 8 mesi dopo, un colpo di Stato militare sembra appoggiato dagli Stati Uniti, secondo fonti indipendenti quali Human Rights Watch; Aristide fu infatti prelevato e portato negli Usa, dove venne sottoposto ad un corso intensivo di “democrazia e capitalismo”, o almeno così affermò l’ambasciatore statunitense ad Haiti.. Sembra un film, tragico, ma è la realtà. Nel 2000, terminati i disordini da pochi anni, Aristide venne rieletto (nel frattempo aveva tolto la tunica); a quel punto restò in carica per 4 anni, trovando anche il tempo di scrivere un libro contro lo sfruttamento dei Paesi Industrializzati nei confronti del “Terzo Mondo” (Eyes of the Hearth). Nel 2004 vi furono nuovi disordini, con bande armate (così, all’improvviso) che seminarono il terrore nelle città principali e a cui fece seguito una missione Onu (Minustah), tuttora in corso, per riportare l’ordine. Anche questa volta Aristide fu “deportato” dagli Stati Uniti (ma in Sud Africa), senza preavviso nei confronti dell’Onu, provocando un certo “imbarazzo” all’allora Segretario Generale Kofi Annan.

Come esordivo, il terremoto del 2010, fu il colpo di grazia. E oggi note aziende occidentali continuano a sfruttare indisturbate i lavoratori (come mi han raccontato gli haitiani) per meno di 15 centesimi l’ora, facendoci giungere questo o quel paio di jeans..

Questa parentesi storica aveva un senso in particolare.. la differenza tra Nord e Sud del mondo affonda le sue radici nel colonialismo, ma questo “status quo” continua a mantenersi per via di interessi economici attuali e più o meno evidenti complicità.

 

Tornando ai nostri giorni, quel che più mi ha colpito di Haiti è stato il contrasto. Da un lato povertà e malattie, dall’altro serenità e felicità. Può sembrare assurdo, ma è davvero questa Haiti. O per lo meno, lo è Ouanaminthe, dove ho passato quasi due mesi, altrove solo pochi giorni. Un luogo in cui la gente ne ha viste di tutti i colori, in cui continua a morire per malattie ormai scomparse in Europa, come tifo, colera, malaria e non solo; dove oltre il 70% della gente non possiede un bagno e il 40% non ha accesso all’acqua potabile (secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2016); ma dove la frenesia alienante dell’Occidente non è ancora arrivata e la gente si guarda, sorride e ha ancora il senso del tempo e della vita.

E’ in questo quadro che si configura l’intervento del CISS, ONG di Palermo attiva nel Sud Italia e nei Sud del Mondo con diversi progetti. Il suo intervento ad Haiti (per cui esiste un sito web) si chiama “Action partecipatives pour l’Eau e l’Assainissement dans la ville de Ouanaminthe”, e l’obiettivo è quello di migliorare le condizioni igienico-sanitarie (nel campo delle acque e dei rifiuti) coinvolgendo direttamente le comunità locali.

Infatti, come ho potuto constatare in prima persona, da Ingegnere Ambientale sono consapevole che Haiti in generale, e Ouanaminthe in particolare, ha bisogno di infrastrutture tali da contrastare il diffondersi di malattie ed epidemie, facendo in modo di migliorare le condizioni igieniche. Allo stesso tempo, bisogna evitare di costruire le tipiche cattedrali nel deserto, frutto per lo più di interessi speculativi. E’ fondamentale invece contestualizzare e pensare ad interventi sostenibili, senza che piovano dall’alto; possibilmente chiedendo alla gente del posto quello di cui pensa aver maggiormente bisogno. E’ così che si è mosso il CISS anche in questo caso.

 

Haiti - città di Ouanaminthe

 

*Giovanni Vinti, ingegnere ambientale, socio e volontario del CISS ha supportato lo staff locale nella realizzazione di sistemi volti a migliorare le condizioni igienico-sanitarie a Ouanaminthe

 

BETLEMME (14)

Quello che sta accadendo in Palestina dal 1 di Ottobre e’ sotto gli occhi di tutti. Dal primo ottobre ad oggi, si contano circa 70 morti tra uomini e donne palestinesi, molti giovanissimi, e 9 israeliani.

13, 14, 15, 16 anni sono le età di molte delle vittime palestinesi. Studenti, giovani e giovanissimi sono indicati da tutti come i nuovi protagonisti di proteste e lotta contro gli israeliani che occupano e colonizzano la loro terra. Dall’altra parte, l’intensificarsi delle misure di contrasto (chiusura di quartieri, uso di lacrimogeni, aggressioni, uccisioni extragiudiziarie) stanno preoccupando molto la comunità internazionale che non riesce ad avere, almeno fino ad oggi, voce e peso nelle decisioni del governo israeliano. La società civile continua dal canto suo ad affermare che è necessario affrontare le vere cause della violenza: la negazione della libertà palestinese e l’occupazione.

Come ha scritto recentemente l’attivista palestinese Hanan Ashrawi, i palestinesi sono l’unico popolo sulla terra a cui è chiesto di garantire la sicurezza degli occupanti, mentre Israele è l’unico paese che esige di essere protetto dalle proprie vittime. Come possiamo rispondere?
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CISS vi invita a

UN PROGETTO DI COOPERAZIONE INTERNAZIONALE AD HAITI

Azioni per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie nella città di Ouanaminthe.

Venerdì 29 maggio, ore 15:00 Aula G. Capitò (ed.7) Scuola Politecnica Università degli Studi di Palermo Viale delle Scienze

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In avvio l’edizione estiva del ‘Corso di progettazione e la gestione di un progetto, dall’idea alla pratica’ del CISS, due le formule proposte: week end o giorni feriali.

I Corsi di formazione sono rivolti a studenti e operatori sociali.
La didattica sarà basata su esercitazioni e project work, l’analisi di casi di studio e l’utilizzo di materiali multimediali ed interattivi.
La classe sarà composta da massimo 20 partecipanti.
I docenti sono professionisti che da anni lavorano nel campo della progettazione e della gestione di progetti, sia in Italia che all’estero.
Alla fine del percorso formativo ciascun partecipante sarà in grado di formulare proposte progettuali coerenti e competitive e di gestire in maniera professionale ogni aspetto legato alla realizzazione di un progetto.

La progettazione e la gestione di un progetto. Dall’idea alla pratica
– FORMULA FERIALE

Il corso di formazione si svolgerà nelle giornate di martedì, mercoledì e giovedì, 15 incontri (ore 9.00/13.00) e 4 incontri (ore 9.00/13.00 e 14.00/18.00) dedicati al laboratorio di progettazione, a partire dal 3 giugno fino al 16 luglio 2015, per un totale di 90 ore di corso suddivise in due moduli formativi, presso il CEDOC – Centro di Documentazione del CISS in via G. Marconi 2/a – Palermo.

Le iscrizioni saranno aperte fino lunedì 25 maggio 2015 (ore 24:00).

Per tutte le informazioni clicca qui

—————————————– Leggi il seguito di questo post »

Violenza e Attaccamento
ovvero Le radici psicologiche della violenza sulle donne

giovedì 14 maggio, ore 17.00
Real fonderia
Piazza Fonderia alla Cala, Palermo

Interviene:

Franco di Maria, Università degli Studi di Palermo
Rino Cascio, giornalista Rai.
Organizzato da:
Gruppo Uomini Palermo contro la violenza sulle donne

14 maggio

Mostri nella cultura del mondo ispanico e italiano dei secoli XIX, XX e XXI

giovedì 7 maggio
ore 10.00
Aula Magna Ex-Facoltà di Lettere e Filosofia
Ed. 12 Viale delle Scienze, Palermo

ore 16.00
Instituto Cervantes Palermo
Via Argenteria Nuova, 33

La violenza di genere in America latina: tra la denuncia letteraria e visiva e lo studio antropologico

venerdì 8 maggio
ore 10.00
Instituto Cervantes Palermo
Via Argenteria Nuova, 33

CONVEGNO 7-8 de maggo_Page_1

CONVEGNO 7-8 de maggo

di Margherita Maniscalco e Marco Vella – operatori e volontari CISS/Cooperazione Internazionale Sud Sud

0E’ appena trascorso un mese dal Forum Sociale di Tunisi (24/28 marzo 2015), un forum mondiale, un luogo di incontro e di scambio per associazioni, reti, cittadini; per tutti coloro che partecipano attivamente alla società civile. Nonostante la complessità del momento, il forum si stima abbia mobilitato nel complesso circa 70.000 persone, 4.000 tra associazioni, organizzazioni, reti, 128 paesi. A Tunisi eravamo almeno 25.000 nella giornata di apertura e in attesa di conoscere i dati relativi alle affluenze registrate per la XIV edizione del Forum Sociale possiamo raccontarvi delle numerose associazioni incontrate provenienti da diversi paesi. Insieme abbiamo partecipato alla lunga marcia il 24 Marzo che ci ha condotti davanti al Museo del Bardo, a pochi giorni di distanza dagli attacchi terroristici. Una marcia che ha avuto certamente meno esito mediatico della manifestazione organizzata qualche giorno dopo alla presenza dei rappresentanti dei nostri governi, ma che forse conserva un significato in più: “Peoples of the world united against terrorism” è stato lo slogan della marcia.

Quest’anno abbiamo scelto di aderire al Forum con convinzione, perché in tempi di crisi è necessario mettere in circolo le idee; è necessario unire gli sforzi e operare con obiettivi comuni; è necessario lavorare in rete. Affermazioni banali eppure ancora oggi ci sembrano imprescindibili per affrontare gli effetti e soprattutto le cause di una crisi che non è soltanto economica; è sociale, politica e culturale, come emerso nelle numerose tavole rotonde, conferenze, laboratori e assemblee che hanno animato le piazze e le aule del Campus universitario Farhat Hached di Tunisi.
Partecipando ad alcune delle iniziative programmate – circa 400 sessioni di lavoro inizialmente previste – abbiamo avuto modo di prendere contatto con nuove forme di resistenza, nonostante il tentativo dei governi, soprattutto della regione MENA, di infiltrarsi e influenzare alcuni dei dibattiti. Forse al forum le bandiere, espressione di strumentali nazionalismi, erano fin troppe… Leggi il seguito di questo post »

CISS/Cooperazione Internazionale Sud Sud, ARCI di Palermo
Rete palermitana di solidarietà “Con la Palestina nel cuore”
hanno il piacere di invitare all’iniziativa

“La strada per Yarmouk.
Voci e storie di resistenza e di popoli che resistono”

Venerdì 24 aprile 2015, ore 17.30
Cantieri Culturali della Zisa,
Via Paolo Gili 4, Palermo Leggi il seguito di questo post »

Comunicato – 20 aprile 2015

Ancora una volta. Abbiamo scritto di un’altra strage e protestato solo qualche giorno fa, l’ultima – in senso ovviamente relativo – strage nel Mediterraneo, e poi nella notte del 19 aprile, ancora altre vite spezzate e consegnate al nostro mare reso confine e tomba.

700, 900, FORSE 1.000, a prescindere dai numeri stiamo parlando di P E R S O N E, di esseri umani. UOMINI E DONNE CON UNA GRANDE VOGLIA DI VIVERE.

QUALSIASI INTERESSE O DISINTERESSE POLITICO NON PUÓ VALERE COSI TANTE VITE UMANE.

GLI STRUMENTI, I MEZZI MESSI IN CAMPO NON SONO ADEGUATI.

L’EUROPA SI DEVE MUOVERE, l’Europa tutta.

Se la vita umana vale ancora qualcosa, l’accesso effettivo al diritto d’asilo è l’assoluta priorità da garantire. E lo si può fare solamente attraverso l’APERTURA DI CANALI UMANITARI GARANTITI, che permettano alle persone di raggiungere in sicurezza l’Europa e di richiedere protezione internazionale, senza alcuna forma di esternalizzazione delle procedure nei paesi di origine e di transito, in mano a regimi dittatoriali sanguinari o dilaniati dalle guerre.

Queste morti non vanno dimenticate! Devono farci riflettere per non sprecare ancora una volta l’opportunità che abbiamo di costruire la politica sul rispetto dei diritti umani!

Uomini, donne e bambini hanno consegnato i loro sogni a un “tappeto” di 20 metri che galleggia sull’acqua. Oggi, ieri, l’altro ieri, la settimana scorsa, il mese scorso, altri hanno affrontato quel viaggio, altre PERSONE. Quello che manca ormai, tra i vari sentimenti, rabbia dolore sbigottimento, è la sorpresa.

Non si può prevedere? Non lo sappiamo quello che sta succedendo intorno a noi? Vogliamo continuare a fare finta di nulla? Vogliamo continuare a non considerarci pezzi di questo sistema? Chi e quando ha stabilito la sua inevitabilità? Chi e quando ha stabilito che quegli uomini e quelle donne e tanti altri possono pagare anche con la vita il tentativo di assicurarsi livelli anche minimi di sussistenza e vita? Chi stabilisce le differenze?

Si racconta che sia stata la gran voglia di salire su quel mercantile che, a seguito dell’allarme lanciato, è arrivato in loro soccorso a capovolgere quel “tappeto”.

Diciamo che forse è stata la voglia di consegnare la disperazione e il sogno a un tappeto galleggiante più resistente di quello in cui si era.

Quanti siano stati il 19 aprile 2015 sui quei 20 metri di “tappeto” non si sa, non lo sa nessuno. Unico dato certo al momento 24 corpi recuperati, 28 persone sopravvissute e secondo le prime testimonianze a bordo c’erano 40/50 bambini e circa 200 donne. Leggi il seguito di questo post »

banner 5 per 1000

Anche quest’anno la nostra organizzazione CISS – Cooperazione Internazionale Sud Sud, è tra i soggetti ammessi al beneficio del 5 per 1000.

Abbiamo deciso di utilizzare questa possibilità per una una causa che ci sta molto a cuore: il supporto psicosociale ai bambini e alle bambine di Gaza.

Il disagio psichico e in particolare la Sindrome Post traumatica da Stress sono fenomeni diffusi a Gaza da moltissimi anni. Il succedersi delle operazione militari israeliane – Piombo Fuso (2008/2009), Colonna di Difesa (2012) e la recente Margine Protettivo (2014)- hanno reso sempre più grave il problema per un numero altissimo di bambini.

Di recente abbiamo condotto una indagine sui minori già presi in carico nell’ambito dei nostri interventi e abbiamo constatato che su 421 bambini e adolescenti (242 femmine e 179 maschi) 4 sono stati feriti, 47 hanno assistito alla morte di propri familiari, 64 al ferimento; 17 hanno avuto le case completamente distrutte, 383 danneggiate; in 392 hanno dovuto lasciare le proprie case spostandosi nelle scuole delle Nazioni Unite, da parenti o all’estero e 32 sono in abitazioni temporanee.

La totalità delle famiglie riferisce la difficoltà dei bambini ad addormentarsi, incubi, attacchi di panico, paura del buio, rifiuto del cibo e un aumento dell’aggressività.

Di solito nella Sindrome Post Traumatica da Stress esiste un trauma che ha una precisa posizione nello spazio e nel tempo, si verifica in un luogo particolare e ha un inizio e una fine. A Gaza invece, con l’occupazione e l’assedio quotidiano, il trauma dei bambini è costantemente riacceso.

Le nostre ricerche però giungono alla conclusione che è possibile permettere ai bambini di superare gli eventi traumatici seguendo un percorso preciso: rendere i bambini consapevoli delle proprie condizioni psicologiche e aiutarli a liberarsi dei pensieri negativi che riguardano sé stessi, gli altri e il futuro, e degli effetti negativi che creano e mantengono il senso di frustrazione e la mancanza di fiducia in sé stessi. Leggi il seguito di questo post »

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