di Elmar Loreti – cooperante CISS in Marocco

Eccola quindi Tartaruga N°4, avanzare un passo alla volta fuori dalla tenda, strisciando la pancia nella polvere. Ha deciso di andare a Sud e per prima cosa volta la testa calva e si sincera di dove sia il Nord: proprio lì dove deve essere, in mezzo all’immensità blu, in linea con la sua codina tozza come lo sarebbe con l’ago di una bussola.

Fatta questa verifica, Tartaruga N°4 drizza la testa e annusa che odore ha il Sud: un bouquet di essenze e di colori, che inizia con i pini e la lavanda e si srotola in odori ariosi di spazi immensi e odori grevi di persone ammassate le une sulle altre; odori alpini di sorgenti gorgoglianti e odori immoti di arbusti rinsecchiti, spazzati dal vento di sabbia; odori del nulla più ineluttabile e del tutto moltiplicato per sé stesso e con qualche cosa in più. Odori di nascite, odori di amore e odori di morte. Un po’ come l’odore che c’era in tutto il mondo e che generazioni di nasi di tartaruga le avevano impresso nella memoria; però un po’ diverso, più estremo ma in molte differenti direzioni, come se fosse composto da quanto di più bello e da quanto di più orribile ci sia al mondo, allo stesso tempo.

La tartaruga muove i primi passi verso la sua destinazione, qualunque essa sia, aggirando o scavalcando i piccoli sassi di quel terrazzamento polveroso. Passa sotto la macchina, parcheggiata accanto alla tenda, e si sente come Kerouac quando lascia Manhattan per andare a conoscere on the road gli Stati Uniti. Si volta indietro e vede la gattina giocherellare ignara con uno dei fili di plastica della stuoia e, a tratti, con la sua stessa coda. A parte la storia del gatto trasportato sul guscio dell’enorme tartaruga -di cui non capisce se l’origine sia una memoria millenaria o youtube- non le pare che le tartarughe abbiano un ruolo nell’educazione dei felini di piccola taglia.

Benché di cose ne avrebbe ancora molte da insegnare a quella palla di pelo, pensa che di certo lo farà qualcun altro: magari proprio il ragazzo e la ragazza.

– Se la caverà anche senza di me- si dice Tartaruga N°4.

Eccola percorrere tutta la lunghezza polverosa del terrazzamento, fino alla pala meccanica che fa da evidente segnale di lavori in corso.

Arriva alla fine del terrazzamento, guarda la strada bianca appena tracciata che sale la collina curvando dolcemente a sinistra e si rende conto che a volte per andare a Sud -ma ha il sospetto che sia la stessa cosa se si deve andare a Nord, oltre il mare- è più facile deviare un pò a Est o un po’ a Ovest. Tartaruga N°4 riflette qualche minuto su questa grande verità e si chiede come mai la memoria millenaria che le riempiva di rughe il giovane muso non glie l’avesse già insegnato: -Forse – pensò – non sono molte le tartarughe che si sono prefisse una direzione.

Se la tartaruga è presente nelle storie di Hans Christian Andersen e anche in quelle degli aborigeni di Papua Nuova Guinea, è stato grazie a grandi e piccoli spostamenti circolari, concatenati nel tempo come gli anelli di una maglia di ferro, non seguendo una direzione prefissata, come aveva visto fare alle generazioni di farfalla monarca nel documentario di National Geographic.

Tartaruga N°4 pensa anche che, talvolta, nel corso del suo viaggio dovrà anche risalire verso Nord, per trovare il Sud verso cui sta camminando.

Rinfrancata e resa già più saggia da questo suo viaggio peripatetico, Tartaruga N°4 estende il collo e si sporge oltre il guscio ad azzannare una grossa formica di passaggio.

Pensa che non è male, per essere una razione da viaggio. Pensa anche che sapersi accontentare di quello che si ha a disposizione è il primo passo verso la felicità; a patto che questo accontentarsi non significhi arrestarsi nella propria ricerca di quella stessa felicità: – Il fatto che mi piace stare nel mio guscio non vuol dire che io non voglio farlo crescere e diventare più lucido, spazioso e resistente. E magari senza cifre dipinte sopra.

Dopo lo spuntino, Tartaruga N°4 si inerpica su per la stradetta, tenendosi con prudenza al lato, quasi invisibile sotto la coltre di polvere paglierina che la ricopre, fermandosi di quando in quando per apprezzare il praticello che Allaoui sta cercando di far crescere dietro al bar e i piccoli alberelli piantati da poco.

Pensa che è un bel lavoro. Pensa che nel giro di qualche mese, quando l’erba spunterà sul terreno che adesso è spoglio e sabbioso, quel posto sarà meraviglioso per una tartaruga. Per una tartaruga cui piacesse il ruolo di mascotte, prezzo da pagare per il privilegio di vivere in un posto del genere e di poter contemplare il mare e la propria antica saggezza dall’alto della scogliera.

Di certo non sarebbe vita per una tartaruga come lei, che vuole andare a vedere cosa c’è a Sud e che per farlo è anche pronta a fare deviazioni verso gli altri punti cardinali.

E’ ormai sera, o piuttosto quella che gli inglesi chiamerebbero ora del tè, quando Tartaruga N°4 arriva alla corda tesa attraverso la stradetta, all’uscita del campeggio. E’ ora di sgranocchiare qualche erbaccia mezza secca e di rinfrescarsi in quello che resta di un rivolo d’acqua, una specie di serpente scuro che attraversa di sbieco la polvere della strada. Una pietra sotto cui cercare calore e protezione per sedici misere ore di sonno, molte meno di quante una tartaruga sedentaria si sarebbe concessa. – Ma magari di più di quelle che si può permettere una tartaruga con le zampe a pinna, laggiù nell’immensità blu – si dice Tartaruga N°4 mentre il rumore delle onde del mare, già invisibile ma ancora tanto vicino, la culla nel sonno.

La tartaruga sogna, durante la notte. Sogna i sogni sognati da mille e mille tartarughe prima di lei ma sogna anche i sogni dei due ragazzi tornati a casa, in Espagna, e i sogni del ragazzo che dorme nella tenda. O, chissà, i sogni della ragazza addormentata contro la sua spalla.

Sogna i loro sogni e, quando si sveglia, si chiede se non sia stato un gesto crudele, da parte sua, averli abbandonati.

-Se la caveranno, senza di me?- Si domanda.

Senza un guscio di loro proprietà, su cui stanno pagando un mutuo, senza un’auto parcheggiata nel garage di quel guscio.

Un sorriso corruga le grinze del muso -Sì dai, se la caveranno anche senza la saggezza millenaria della tartaruga. Se la caveranno e mi capiranno, anzi, se la caveranno proprio perché loro sanno capirmi – si disse – Capiranno la mia voglia di andare a vedere cosa c’è, se cammino verso Sud: mi sa che loro hanno già cominciato per questa via.

Un pensiero positivo per un giorno positivo di cammino.

Aveva scoperto che la stradetta, nonostante il suo percorso tortuoso, era più semplice da seguire che non addentrarsi fra le rocce e gli arbusti appuntiti, rischiando di rigarsi il guscio o, peggio ancora, di cadere pancia all’aria senza la certezza di una mano amica pronta a rigirarla. In quelle lande desolate -forse a più di un chilometro dall’insalata che l’aspettava invano al campeggio, di fianco alla tenda- finire a pancia all’aria può voler dire essere mangiata, da dentro, dalle formiche rosse. Una fine ingloriosa per i suoi propositi pellegrini, di certo da evitare.

D’altro canto non può nemmeno considerare la strada come un terreno sicuro, viste le auto che passano con una frequenza che avrebbe definito scarsa solo dopo aver visto le grandi città.

Questi e mille altri pericoli, non tutti immagazzinati nella sua memoria antica, l’aspettano davanti ma Tartaruga N°4 è convinta che questo non sia un motivo sufficiente per non camminare verso Sud. Quindi cammina per tutta la giornata, ritrova il mare, in distanza, e lo riperde secondo il volere della strada, arriva la sera, si riposa e riparte e questo per due o tre giorni o forse due o tre settimane. O, chissà, due o tre battiti delle sue palpebre spesse.

Ma, in fondo, che differenza fa?

A ogni passo è più sicura di sé, ha già incrociato un cane a passeggio ed è riuscita a sotterrarsi in tempo per sfuggire al suo fiuto. Ha anche capito che non tutti quelli che incrocia -macchine, persone pecore o cani- hanno intenzioni cattive nei suoi confronti: la maggioranza proprio non si accorge di lei; basta essere svegli e capire chi si ha davanti, come consiglia del resto la Lonely Planet.

Non è più una fuggiasca da una scatola lager, non è più l’ornamento di un ryad rabattino, quando la stradetta la porta al piccolo porticciolo che aveva visto, chissà quanto tempo prima, dall’alto del terrazzamento, nel camping. Ha già scalato la sua prima montagna: forse non la più alta, forse quella che un ciclista chiamerebbe una salitella pedalabile, ma pur sempre la prima. Annusando il venticello del pomeriggio -o quello che di lui si poteva discernere attraverso l’odore della polvere –  aveva girato lentamente la testa e poi, come un muletto giocattolo nelle mani di un bambino, anche tutto il corpo per guardare giù verso la strada che aveva percorso. Si sentiva bene: era stata una bella strada. Si era rigirata con quel suo movimento macchinoso, aveva guardato la discesa davanti a sé e aveva pensato che la strada che aveva davanti era anche più bella.

Era una viaggiatrice, ora.

Al porticciolo la stradetta smette di essere di terra e sassi, diventa un lastrone grigio chiazzato di buche e coperto da un sottile strato di sabbia, spazzata dalla brezza di mare. Le auto che passano dirigendosi verso i moli non alzano il polverone asfissiante, simile a una piccola tempesta di sabbia, che alzavano sulla stradetta di terra rossa. Questo le fa piacere. D’altro canto l’asfalto è duro sotto le zampe e, fuori dalle zone d’ombra, è caldissimo. -Non è terreno per una tartaruga cui piace la sensazione della terra fra gli artigli, come me -pensa Tartaruga N°4.

Poi pensa che forse, a Sud, potrebbe trovare dell’altro asfalto e che sarà a volte costretta ad attraversarlo. Une dei tanti prezzi da pagare se si vuole essere una tartaruga che viaggia e conosce il mondo (o almeno una porzione di esso). -Probabile che non sia il peggiore -sorride del suo sorriso saggio, Tartaruga N°4- e di sicuro il conto varrà la ricchezza del menù.

Spera solo che non ce ne sia troppo, di asfalto, a Sud.

Per il momento può camminare verso Sud su un terreno spoglio, un tappeto di aghi all’ombra di alti pini marittimi, su cui si snoda la strada. Alza la testa mentre l’aria si fa più tiepida, annunciando con un anticipo, di cui solo una tartaruga potrebbe curarsi, l’arrivo della sera. Alza la testa e vede a poca distanza una lunga fila ininterrotta di grandi pannelli di metallo, con scritte e disegni sopra, che è quasi riuscito a rinchiudere la terra su cui cammina, le manca solo una piccola porzione e poi tutta la terra sarà in trappola.

Strizza gli occhi come se fosse la tartaruga di un cartone animato della disney e cerca la fine di quella fila di pannelli, ma trova solo che, giusto dall’altra parte della strada, verso la spiaggia, inizia un’altra fila sorella della prima, quasi avesse la velleità di rinchiudere il mare. Una cosa che, si sa, è storicamente riuscita solo all’Impero Romano e, anche in quel caso, con ben poca possibilità di controllare certe zone indomabili, fra cui quella che Tartaruga N°4 stava valorosamente attraversando.

Si domanda il senso di quelle infinite file di pannelli di metallo e si dice che, l’indomani o, chissà, fra dieci anni lo scoprirà. Forse i cartelli lo spiegheranno, forse saranno gli uomini a dargli, con il tempo, un senso. Si addormenta pensando che quasi quasi non vorrebbe saperlo, il senso, o che magari lo sa già. Pensa che proprio un uomo l’ha già detto chiaro e tondo, ma che gli uomini, che hanno una memoria diversa da quella antica delle tartarughe, hanno la tendenza a ricordarsi solo le cose che giustificano il loro presente o un futuro sperato.

-Il primo uomo che, recinto un terreno, ebbe l’idea di proclamare “questo è mio”, e trovò altri così ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore della società civile –  sospira Tartaruga N°4 appoggiando la testolina sulla zampa come su un cuscino – Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie, quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali e colmando il fosso, avesse gridato ai suoi simili “guardatevi dall’ascoltare quest’impostore!”. Vallo a spiegare a questi qua, che da un recinto non è mai uscito niente di buono-.

Forse ha sognato i campi da golf e le piscine e le case di mattoni di cemento dipinte di bianco; i vialetti e i giardinieri e le guardie ai cancelli. Forse li ha visti disegnati mentre cammina sotto il grande cartellone che suggerisce senza mostrare troppo in profondità qual’è l’ambition d’une région, di questi tempi. Si dice che, quando questa ambition d’une région sarà realtà, una tartaruga come lei potrà ancora strisciare e scavare sotto le recinzioni, per andare a vedere il mare e decidere di andare a Sud. -I ragazzetti che ora cercano di impressionare le ragazzine facendo flessioni e le donne coperte di vestiti che ora si fanno il bagno, però, forse non avranno più la stessa fortuna.

Non sa cosa sia un ecoresort intégré à sa région, ma qualunque cosa sia non è sicura che sarà alla disposizione di tutti. Non se la premessa è cercare di recintare il mare, anche se invano.

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il viaggio di Tartaruga n° 4 continuerà venerdì 11 gennaio 2013…