di Riccardo Incandela – stagista CISS

Ho sempre pensato che per fare il cooperante, questa figura mitica che nella mia testa è a metà strada tra l’avventuriero e l’eroe, tra le altre cose servisse stomaco. Pensavo: “ci vuole stomaco per andare in zone politicamente instabili, entrare in empatia con persone che vivono situazioni di dolore fisico e psichico estremo, ed avere ancora la forza di aiutare”. Oggi sono convinto che ci vuole stomaco anche a fare un giro per le nostre città.

Il 4 dicembre un corso organizzato dal coordinamento antitratta, del quale il CISS fa parte, mi ha gradualmente portato a questa conclusione.

“La scuola non tratta” è stato il titolo emblematico dell’iniziativa che si è svolta presso l’IISS A. Volta, destinato alla sensibilizzazione degli insegnati sulla tratta di giovani donne straniere, costrette a prostituirsi in Italia. Come ha detto Nino Rocca purtroppo “la scuola non tratta questi temi”! Ed il resto della popolazione, un pò assuefatta non si accorge o non si vuole accorgere del dramma che, giorno e notte, si svolge davanti ai nostri occhi.

Il programma molto articolato ha sviluppato il tema da due punti di vista.

Il primo approfondito è stato il trauma che queste povere donne sono costrette a subire, e che contribuisce in modo serio alla loro sottomissione psicologica, insieme alle minacce ed alle violenze. Il secondo è il problema di genere che culturalmente relega la donna a strumento dell’uomo. Un atteggiamento reale, culturalmente rilevante, che permea tutto il nostro modo di relazionarci in modo più o meno conscio. Per questo motivo diventa importante una corretta interpretazione del fenomeno, fino ad arrivare ad uno corretto modello educativo da inserire nel curricoli scolastici.

A conclusione della giornata, dopo i laboratori con i quali sono state proposte alcune lesson plan molto partecipative per gli alunni, è stato proiettato il film di Giuseppe Carrisi “Le figlie di Mami Wata” che documenta efficacemente l’atroce tratta di donne dalla città di Benin City in Nigeria e che “rifornisce” l’Italia di schiave a fini sessuali. Un crimine efferato che si consuma grazie a quel terzo di italiani “clienti” e all’assurda indifferenza del resto della popolazione. Grazie alla testimonianza delle poche donne che, come Isoke sono riuscite a sfuggire alla violenza ed alla morte per mano degli sfruttatori, oggi nessuno può più trincerarsi dietro al “non sapevo”.

Sì, mi sono convinto che serve stomaco per affrontare il dolore e l’umiliazione che migliaia di donne sono costrette a subire per colpa di nostri connazionali nelle nostre strade; ma certamente ci vuole molto più fegato a far finta di niente ed a voltarsi dall’altra parte.