di Elmar Loreti – cooperante CISS in Marocco

E cammina e cammina, Tartaruga N° 4 segue la strada che si snoda fra le colline rossastre, talvolta taglia per i campi, cammina all’ombra degli eucalipti e compie qualche piccola deviazione per andare a gustare i fichi d’india caduti accanto ai cactus, senza curarsi degli sciami di piccole spine che poco possono contro la sua pelle ispessita. Un oued in secca è l’occasione per idratarsi sotto qualche sasso, dove la terra è ancora umida, e vale la perdita di un paio di giorni, fra scendere e risalire il fiume fantasma.

Dopotutto cosa sono un paio di giorni per un viandante che va a Sud? Sempre meglio, del resto, degli uomini e del loro fisico poco sostenibile -addirittura traspirano, questi spreconi!- che li costringe a comportamenti irrazionali, come buttar via il tempo delle bambine facendole andare avanti e indietro a prendere l’acqua da bere alla fontana, in grosse taniche. O come doversi portare -e poi lasciare in giro, dappertutto sembrerebbe- scomode e antiestetiche bottiglie di plastica.

Ha già passato il bivio che, come indicava un cartello stinto, porta a Torres de Alcalà. Ha annusato l’aria e l’aria le ha detto fogna, sardine e brutte case a cubo, quasi senza finestre; alla sua sinistra, la fila di pannelli dell’ecoresort continuava a perdita d’occhio, in direzione proprio di Torres. -Meglio l’altra direzione- si era detta Tartaruga N. 4.

La codina in direzione Nord, con qualche oscillazione per seguire gli avvallamenti delle colline, Tartaruga N° 4 scopre cose che conosce da migliaia di anni, come i cento e cento odori delle piante, e i cento e cento sapori delle erbe. O come il gioco delle parti fra prede e cacciatori e fra cacciatori di cacciatori e fra prede di prede. Lei si tiene in disparte, cammina a un millimetro dal terreno, fra le erbacce, e si dice che prima di interagire in questo gioco è il caso di provare di capirlo e di conoscerlo. Come si addice a un viaggiatore coscienzioso e anche, en passant, a una creaturina più o meno della taglia di una scatoletta di sardine; di quelle monodose, non le confezioni familiari.

Scopre anche cose sconosciute, alcune perché nuove, altre perché retaggio di altre culture.

E’ questo il viaggio, è questa la curiosità di una tartaruga che vuole vedere cosa c’è a Sud: vedere una gatta ossuta e spelacchiata che allatta sorridente il suo cucciolo, entrambi con gli occhi chiusi, e mettersi nei panni della mamma e nei panni del figlio. Sorridere di quel legame che lei -e come lei tutte le tartarughe mai apparse sulla terra- non potrà mai capire fino in fondo; sorriderne come ne sorridono i due gatti, per tentare di cogliere quello che provano loro.

Ha fatto lo sforzo di camminare quasi fino al tramonto per non dover dormire con la curiosità di sapere quale è l’origine di quel tremore che l’ha accompagnata per tutto il giorno, intensificandosi mano a mano che Tartaruga N°4 avanzava. Era passata sotto il cartellone bianco che annunciava -in largo anticipo, per quanto la riguardava- in quali direzioni si potesse decidere di andare; ad una svolta della strada aveva visto, in cima alla salita, sfrecciare auto e camion. Aveva rivisto il proprio viaggio dentro la scatola: stessi fumi, stesso tremore, stesso rumore. Scatolette e scatoloni di metallo che le sbarravano il passo verso sud.

E’ arrivata in cima alla salita, sentendosi come un ciclista al gran premio della montagna nel valicare la striscia bianca dello stop, e ora Tartaruga N°4 contempla questa striscia d’asfalto che si perde ben oltre il suo sguardo miope alla sua destra e alla sua sinistra. -Una tartaruga che vuole andare a Sud dovrà anche attraversarne, di strade- si dice – è la prima ma di sicuro non l’ultima. Certo che sarà lunga, da attraversare.

La terra trema al passaggio di un camion e con lei trema la tartaruga, cosciente che non avrà difese, là fuori sull’asfalto. Appoggia il ventre e annusa l’odore della terra arida; si massaggia le zampe, facendole entrare e uscire dal guscio. Poi si addormenta.

La mattina dopo la strada è ancora lì a sbarrargli il passo. Qualche momento di silenzio e poi, come temporali estivi, le macchine, annunciate dal tremore crescente dell’asfalto.

Arrivano, sfrecciano e se ne vanno lasciando dietro a loro una folata di vento.

A volte c’è qualche minuto fra una macchina e l’altra; a volte pochi secondi. Come fare a prevederlo? Là in mezzo non potrà nascondersi, non potrà scartare di lato abbastanza veloce da evitare quei mostri.

Si avvicina al ciglio della strada, il guscio a interrompere per qualche minuto la striscia bianca. Fa qualche passo avanti e poi si ferma.

Cerca, si sforza, allunga il collo oltre il guscio per spingere lo sguardo di qualche metro più lontano, prima a destra e poi a sinistra. La vista però, poco avvezza alla contemplazione dei grandi spazi e delle lontananze, si fa dubbiosa, sfuocata già poco dopo le sue palpebre spesse. La collina è un ammasso marroncino da cui la strada, invero diritta, sembra frastagliarsi e contorcersi nel suo grigio miope. Un camion non è che una chiazza che scende a folle velocità facendo tremare il mondo, un uragano che passa turbinando accanto a Tartaruga N°4, minacciando di spazzare via lei e la sua determinazione ad andare a Sud.

Un respirone e, nonostante il cuore che batte a mille, le zampe ancora ben salde sul terreno: il camion è passato.

Alza la testa e vede, dall’altra parte, la piccola e rassicurante stradetta che si perde fra i pioppi, oltre la rotonda.

Non è proprio una corsa a rotta di collo ma è il movimento a essa più simile che Tartaruga N°4 riesce a fare. Anteriore destra, posteriore sinistra; anteriore sinistra, posteriore destra. Una due tre volte, come quando cercava di sfuggire alla gattina.

E’ arrivata alla riga bianca, in mezzo alla grande strada. Un altro respirone e Tartaruga N°4 riparte. Un tremore crescente scuote l’asfalto. Le foglie dei pioppi che si uniscono, mosse dal vento, a questo concerto davvero spaventoso per una tartaruga.
Turbine di cartacce e polvere e la macchina passa, dietro di lei, portandosi via il tremore.
Fa un altro passo, un altro ancora ma, come se avesse dimenticato qualcosa, ecco che quel terribile tremore rimbalza indietro.
Volta la testa, Tartaruga N°4 e vede il furgone stracarico caracollare verso di lei. Non va forte; ma nemmeno Tartaruga N°4 va forte. E’ pietrificata mentre il furgoncino si avvicina e si avvicina.
E’ così che finisce la storia di una tartaruga che va a Sud? A che gli è servita tutta questa saggezza millenaria che si porta dietro ben riposta dentro al guscio?
Cigolii e sbuffi del mostro in arrivo.
Una lucetta che lampeggia sul lato del furgone.
La minaccia che perde la sua spinta propulsiva, il motore che ruggisce come un leone domato, le ruote – prima puntate verso una piccola e innocente tartaruga – che guardano verso destra e, con loro, il muso marchiato Mercedes e poi il corpo di ferro del mostro.
Ha voltato.
Una zampa e poi l’altra in una corsa al rallenti, quasi un colpo di reni rivisto alla moviola mentre varca la linea -che, ha sentito dire, fa campo- bianca che delimita lacarreggiata e si tuffa nell’erba secca oltre il limite dell’asfalto.

Ce l’ha fatta: la strada verso il Sud può continuare.

Continua verso un Sud che per ora si chiama, e si chiamerà così per chissà quanto tempo, nord del Nordafrica.

Questa strada che porta a Sud, per il momento, è un viottolo di campagna ombreggiato dai mandorli che si addentra nella valle, di quelli che è un piacere percorrere se si è un viaggiatore come Tartaruga N°4.

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il viaggio di Tartaruga n° 4 continuerà venerdì 25 gennaio 2013…